Pensioni, tutte le novità. Ecco cosa cambia dall’1 gennaio 2026

Simone Micocci

19 Dicembre 2025 - 10:03

Pensioni, nuove regole da gennaio 2026. Ecco cosa cambia per importi e regole di pensionamento.

Pensioni, tutte le novità. Ecco cosa cambia dall’1 gennaio 2026

Dal 1° gennaio 2026 il sistema pensionistico entra in una nuova fase.

Le regole per andare in pensione cambiano per effetto della normativa già vigente e delle scelte contenute nella legge di Bilancio, il cui iter parlamentare è ancora in corso ma che, salvo sorprese, non dovrebbe subire modifiche sostanziali rispetto al testo approvato dal governo Meloni nelle scorse settimane.

Gli emendamenti in discussione non sembrano infatti destinati a ribaltare l’impianto complessivo della riforma previdenziale: anche le forze politiche che in passato avevano spinto per il ripristino di misure di maggiore flessibilità, come Quota 103 e Opzione Donna, hanno di fatto preso atto della loro uscita di scena a fine 2025. Dal 2026 queste strade di pensionamento anticipato non saranno più percorribili, con un impatto diretto soprattutto sull’età di uscita dal lavoro e sulle possibilità di anticipo rispetto ai requisiti ordinari.

I cambiamenti non riguardano soltanto i requisiti anagrafici e contributivi, ma anche gli importi delle pensioni, che nel nuovo anno risentiranno delle misure fiscali e dei meccanismi di rivalutazione confermati dalla manovra. Si tratta, va detto, di interventi meno dirompenti rispetto a quelli che potrebbero arrivare dal 2027, quando entreranno in gioco l’adeguamento alla speranza di vita e nuovi coefficienti di trasformazione potenzialmente meno favorevoli.

Per ora, però, l’attenzione è tutta rivolta al prossimo gennaio: ecco cosa cambia davvero per le pensioni nel 2026 e quali regole bisognerà rispettare per andare in quiescenza.

Andare in pensione, addio a Quota 103 e Opzione Donna

Per un altro anno l’età per la pensione di vecchiaia resta pari a 67 anni (nell’attesa dell’incremento che scatterà nel gennaio 2027). Così come non cambiano i requisiti per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne).

E resta anche l’Ape Sociale, la forma di pensionamento anticipato che consente di smettere di lavorare all’età di 63 anni e 5 mesi percependo nel contempo un’indennità sostitutiva del valore di massimo 1.500 euro. Una misura riservata però solo a coloro che rientrano in uno dei profili che necessitano di una maggior tutela, quali disoccupati, invalidi, caregiver e lavoratori usuranti e gravosi.

A sparire dall’1 gennaio 2026 sono invece Quota 103 e Opzione Donna, due misure che in questi anni hanno contribuito a rendere meno severa la legge Fornero per quanto si rivolgano di fatto a un numero ridotto di persone.

La prima, Quota 103, consente ancora oggi il pensionamento anticipato all’età di 62 anni, a fronte di 41 anni di contributi. Per andarci anche nel 2026 servirà aver raggiunto tutti i requisiti entro il 31 dicembre di quest’anno.

Opzione Donna invece aveva già subito una brusca riduzione della platea delle lavoratrici potenzialmente interessate negli anni scorsi, quando il governo Meloni portò il requisito anagrafico a 61 anni (con 35 anni di contributi) limitando l’accesso alla misura solo invalide, caregiver o licenziate (o in procinto di) da grandi aziende. Oggi per andare a Opzione Donna serve aver maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2024: questa soglia non verrà spostata di un anno come fatto nelle manovre precedenti, ecco perché la misura è destinata a sparire.

Le nuove regole sulla tassazione delle pensioni

Dall’1 gennaio 2026 le pensioni - così come gli altri redditi soggetti a imposta - beneficiano delle nuove regole fiscali introdotte dalla manovra, dove l’aliquota Irpef per il secondo scaglione, quello che comprende i redditi tra 28.000 e 50.000 euro, viene portata dal 35% al 33%.

Un risparmio del 2% per la parte di pensione che rientra in questo scaglione, fino a un risparmio massimo quindi di 440 euro l’anno. Ad esempio, per una pensione di 40 mila euro annui sono 240 euro di vantaggio annuo, mentre per chi ne prende solo 30.000 euro il risparmio è molto limitato: appena 40 euro l’anno.

Le nuove regole sull’incremento al milione

Nella legge di Bilancio è riconosciuto un aumento di 20 euro sull’incremento al milione, ossia la maggiorazione sociale che si applica tanto sulle pensioni quanto sulle misure assistenziali come le pensioni di invalidità civile e l’Assegno sociale, che oggi porta l’assegno a raggiungere quota 739 euro.

Il prossimo anno, considerando anche la rivalutazione delle pensioni, dovrebbe invece raggiungere circa i 770 euro.

La rivalutazione degli importi

Da gennaio 2026 scatta anche la rivalutazione degli importi delle pensioni, il meccanismo automatico con cui gli assegni vengono adeguati all’aumento del costo della vita. Il tasso di rivalutazione è fissato all’1,4%. Questo significa che tutti gli importi pensionistici vengono aggiornati applicando tale percentuale, secondo le regole previste dalla normativa vigente e con le consuete differenziazioni per fasce di importo.
In termini pratici, l’aumento sarà contenuto ma comunque percepibile: su una pensione da 1.000 euro l’incremento sarà di circa 14 euro al mese, mentre su un assegno da 2.000 euro l’aumento sarà pari a 28 euro mensili. Ecco una tabella con i nuovi importi:

Importo lordo mensile Aumento con 1,4% Nuovo lordo (1,4%)
800€ +11,20€ 811,20€
1.000€ +14,00€ 1.014,00€
1.200€ +16,80€ 1.216,80€
1.400€ +19,60€ 1.419,60€
1.600€ +22,40€ 1.622,40€
1.800€ +25,20€ 1.825,20€
2.000€ +28,00€ 2.028,00€
2.200€ +30,80€ 2.230,80€
2.400€ +33,60€ 2.433,60€
2.600€ +36,40€ 2.636,40€
3.000€ +42,00€ 3.042,00€
3.200€ +44,80€ 3.244,80€
5.000€ +70,00€ 5.070,00€

La rivalutazione straordinaria

C’è però una cattiva notizia. Oggi sugli importi delle pensioni il cui importo non supera il valore del trattamento minimo, circa 603 euro al mese, si applica una rivalutazione straordinaria pari al 2,2% dell’importo lordo percepito.

Ecco, questa misura rimane ma la percentuale viene ridotta: l’aumento straordinario, infatti, scende all’1,3%, riducendo così il valore dell’aumento riconosciuto dal governo Meloni. Se a questo aggiungiamo però l’aumento dell’incremento al milione - di 20 euro al mese - ne risulterà un importo comunque maggiore rispetto a quanto percepito nel 2025.

Le nuove date di pagamento

Da gennaio 2026 cambiano le date di pagamento delle pensioni in base al calendario di festività e fine settimana, pur restando invariata la regola generale: l’accredito avviene il primo giorno bancabile del mese, con l’unica eccezione di gennaio, quando il pagamento slitta al secondo giorno bancabile perché sul cedolino confluiscono gli effetti della rivalutazione annuale. È quindi necessario prestare attenzione soprattutto ai mesi in cui il primo giorno cade di sabato, domenica o festivo, poiché in questi casi il pagamento può avvenire in date diverse per chi riceve la pensione in banca o tramite Poste Italiane, che considera bancabile anche il sabato.

Nel 2026 gennaio è pagato sabato 3 in posta e lunedì 5 in banca; febbraio e marzo slittano entrambi a lunedì 2; aprile è regolare il 1°; maggio viene pagato sabato 2 solo in posta e lunedì 4 in banca; giugno e luglio sono regolari il 1° (con quattordicesima a luglio per gli aventi diritto); agosto è pagato sabato 1 in posta e lunedì 3 in banca; settembre e ottobre non presentano rinvii; novembre slitta a lunedì 2 perché il 1° è festivo; dicembre, mese della tredicesima, è pagato regolarmente martedì 1.

Pensioni, il calendario 2026 Pensioni, il calendario 2026 Fonte: Money.it

Un’altra possibile novità dal 2026

Accanto alle misure già delineate, il 2026 potrebbe portare con sé un cambiamento rilevante anche sul fronte del Tfr, sebbene al momento non si tratti ancora di una disposizione definitiva. L’ipotesi del silenzio-assenso è infatti entrata nel dibattito parlamentare attraverso un emendamento alla legge di Bilancio, ma l’iter non è ancora concluso e servirà attendere l’esito finale dei lavori per capire se la norma diventerà operativa.

Se confermata, la misura segnerebbe un cambio di impostazione significativo, perché renderebbe la previdenza complementare la scelta “di default” per la destinazione del Trattamento di fine rapporto, lasciando al lavoratore la possibilità di opporsi solo con una manifestazione di volontà esplicita entro termini prestabiliti. Parallelamente, verrebbe meno per tutte le aziende, indipendentemente dalle dimensioni, la possibilità di trattenere il Tfr in azienda, con l’estensione dell’obbligo di versamento al Fondo Inps.

Si tratta di un intervento che, pur non essendo ancora ufficiale, va letto nella strategia più ampia del Governo di rafforzare la pensione integrativa e ridurre la distanza tra assegni pubblici futuri e costo della vita. Proprio per questo il tema resta sotto osservazione: se la norma verrà confermata, il 2026 potrebbe rappresentare un punto di svolta anche nella gestione del Tfr e nelle scelte previdenziali dei lavoratori.

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