Pensioni, nel 2026 ci vai prima se soddisfi queste condizioni

Simone Micocci

11 Settembre 2025 - 10:10

Vuoi smettere di lavorare prima nel 2026? Ti basta soddisfare una sola tra queste condizioni.

Pensioni, nel 2026 ci vai prima se soddisfi queste condizioni

Vuoi andare in pensione prima del tempo nel 2026? Al netto delle decisioni che il governo potrebbe prendere con la riforma delle pensioni, esistono diverse condizioni che, se rispettate, consentono di lasciare il lavoro con qualche anno di anticipo rispetto ai 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia.

Misure di flessibilità, “sconti” contributivi o riduzioni dell’età anagrafica: le opzioni che permettono di anticipare l’uscita restano valide anche nel 2026, abbassando così l’età effettiva di pensionamento in Italia.

Come confermano gli ultimi dati Inps, infatti, non bisogna pensare che in Italia si vada sempre in pensione a 67 anni: questo rappresenta solo il limite previsto per la pensione di vecchiaia, senza considerare tutte le altre possibilità a disposizione dei lavoratori. Guardando al quadro complessivo, l’età media effettiva di pensionamento si attesta, infatti, intorno ai 64 anni.

Ma quali sono di fatto le condizioni che permettono di smettere di lavorare prima? Ecco le principali, dalle quali abbiamo escluso - per il momento - Quota 103 e Opzione Donna in quanto sono ancora oggetto di dibattito e non è certa una loro conferma.

Nel 2026 smetti di lavorare prima se soddisfi le condizioni per la pensione anticipata

Chi vuole lasciare il lavoro prima dei 67 anni ha davanti tre possibilità: la pensione anticipata ordinaria, la pensione anticipata contributiva e la Quota 41.

La pensione anticipata ordinaria non prevede limiti di età: basta aver versato 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, o 41 anni e 10 mesi per le donne. L’assegno decorre dopo una finestra di 3 mesi e viene calcolato con le regole generali del sistema previdenziale.

Diversa è la pensione anticipata contributiva, riservata a chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996. Permette di uscire dal mercato del lavoro a 64 anni, ma solo se si hanno almeno 25 anni di contributi effettivi (che diventeranno 30 dal 2030) e se l’assegno maturato supera 3 volte l’importo dell’assegno sociale (2,8 volte nel caso delle donne con un figlio, 2,6 per chi ne ha almeno due). Una soglia che, nella pratica, rende questa opzione accessibile soprattutto a chi ha avuto carriere stabili percependo redditi medio-alti.

Infine c’è Quota 41, pensata per i lavoratori precoci, cioè chi ha almeno un anno di contributi versati prima dei 19 anni. Consente di andare in pensione con 41 anni di versamenti, indipendentemente dall’età, ma solo in presenza di particolari condizioni come disoccupazione, invalidità, attività gravose o assistenza a familiari disabili.

Smetti di lavorare con 15 anni di contributi se...

È ancora possibile, e lo sarà anche nel 2026, andare in pensione di vecchiaia a 67 anni con soli 15 anni di contributi, grazie alle deroghe Amato introdotte nel 1992 e tuttora valide. Non si tratta di una novità, ma di una misura strutturale che sopravvive alle varie riforme, compresa la legge Fornero, anche se la platea di beneficiari è sempre più ridotta perché legata alla presenza di contributi versati prima del 1996.

Le tre deroghe oggi coprono situazioni diverse. La prima riguarda chi aveva già maturato 15 anni di contributi entro il 1992, indipendentemente dal tipo di versamento. La seconda, invece, interessa coloro che, sempre entro quella data, avevano ottenuto l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria. La terza è pensata per chi può vantare una carriera molto lunga, almeno 25 anni di anzianità assicurativa, ma con almeno 10 anni caratterizzati da periodi di lavoro incompleti, con meno di 52 settimane coperte ai fini contributivi.

Condizione comune a tutte le deroghe Amato è quella di aver almeno un contributo settimanale versato entro il 31 dicembre 1995.

Pensione anticipata se svolgi lavori gravosi o usuranti

Anche nel 2026 chi svolge lavori particolarmente faticosi o rischiosi può andare in pensione prima rispetto ai 67 anni previsti per la vecchiaia. Nel dettaglio, la normativa distingue tra lavori usuranti, come quelli svolti in galleria, in miniera, ad alte temperature o durante turni notturni, e lavori gravosi, che comprendono professioni come infermieri, insegnanti di scuola dell’infanzia, operai edili, autisti di mezzi pesanti, addetti alle pulizie e molte altre mansioni riconosciute per il loro peso fisico e psicologico.

Per queste categorie esistono diverse forme di anticipo. I lavoratori usuranti possono accedere a canali speciali come la Quota 97,6 o, con almeno 30 anni di contributi, alla pensione di vecchiaia leggermente ridotta a 66 anni e 7 mesi. Inoltre, per chi ha svolto turni notturni o altre attività ad alto impatto è possibile sfruttare condizioni ancora più favorevoli. I lavori gravosi, invece, danno accesso soprattutto all’Ape Sociale, che - come vedremo nel paragrafo seguente - consente di smettere di lavorare a 63 anni e 5 mesi con almeno 36 anni di versamenti, purché la mansione sia stata svolta per un periodo significativo della carriera.

Entrambe le categorie, usuranti e gravosi, possono inoltre rientrare nella Quota 41 se si è lavoratori precoci, ossia se si possiedono almeno 12 mesi di contributi effettivi versati prima dei 19 anni di età. In questo caso si va in pensione con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica.

Come anticipare la pensione con l’Ape Sociale

Viene anche confermata la possibilità di smettere di lavorare con l’Ape Sociale, l’indennità a carico dello Stato che accompagna i lavoratori fino al raggiungimento della pensione vera e propria. Non si tratta propriamente di una pensione, bensì di un sostegno economico riconosciuto per 12 mensilità l’anno, che termina nel momento in cui si maturano i requisiti per la vecchiaia o per l’anticipata.

La novità introdotta con l’ultima proroga è meno favorevole rispetto al passato: l’età minima per accedervi è salita a 63 anni e 5 mesi, pur restando inferiore ai 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia. Restano invece immutati gli altri requisiti: bisogna avere almeno 30 anni di contributi, che diventano 36 per i lavoratori addetti ad attività gravose (32 per chi opera nell’edilizia), con la possibilità per le madri di vedersi riconosciuto uno “sconto” di un anno per figlio, fino a un massimo di due.

L’accesso è riservato a determinate categorie, come disoccupati senza più ammortizzatori, invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 74%, caregiver che assistono un familiare con grave disabilità e appunto lavoratori impiegati in mansioni gravose per un periodo significativo della carriera.

Pensione anticipata se hai gravi problemi di salute

Nel 2026 chi convive con gravi problemi di salute può accedere a forme di pensionamento anticipato che permettono di smettere di lavorare ben prima dei 67 anni richiesti per la vecchiaia ordinaria. Tra le tutele più importanti c’è la pensione di vecchiaia per invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa pari almeno all’80%: in questo caso il requisito scende a 61 anni per gli uomini e a 56 anni per le donne, con almeno 20 anni di contributi e un’attesa di 12 mesi prima della decorrenza della prestazione.

Condizioni ancora più favorevoli riguardano i lavoratori ciechi. Se la cecità è assoluta o con un residuo visivo non superiore a un decimo, la pensione di vecchiaia è riconosciuta già a 56 anni per gli uomini e a 51 per le donne, purché vi siano almeno 10 anni di contributi maturati dopo l’insorgere della disabilità. In alternativa, resta valida la possibilità di pensionamento alle stesse età previste per gli invalidi all’80%, ma con soli 15 anni di versamenti. Anche per i lavoratori ciechi si applica la finestra mobile di 12 mesi.

Accanto a queste misure ci sono l’assegno ordinario di invalidità, che si può ottenere a qualsiasi età con almeno 5 anni di contributi, di cui 3 nell’ultimo quinquennio, e che ha durata triennale rinnovabile fino alla trasformazione in pensione di vecchiaia, e la pensione di inabilità, riservata a chi si trova nell’impossibilità assoluta e permanente di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Quest’ultima richiede gli stessi requisiti contributivi minimi, ma non prevede alcun limite anagrafico, permettendo così un accesso immediato alla prestazione.

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