Pensioni, il governo non può o non vuole salvare Opzione donna?

Giorgia Bonamoneta

25/02/2023

25/02/2023 - 21:32

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Opzione donna è cambiata e ha tagliato il numero di lavoratrici che ne possono usufruire. L’ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha criticato la scelta. Cosa cambia e perché è stato fatto?

Pensioni, il governo non può o non vuole salvare Opzione donna?

Secondo l’ex ministro del lavoro Andrea Orlando è incredibile che non si trovino circa 50 milioni di euro per garantire Opzione Donna alle stesse condizioni dello scorso anno. Sul tema delle pensioni per le donne, in particolare su Opzione Donna, il governo Meloni ha posto nuovi requisiti che abbassano di molto la soglia delle persone che la possono richiedere.

Secondo Orlando il governo non vuole salvare Opzione Donna, perché le risorse in realtà ci sarebbero, considerando che “le risorse ingenti per salvare le società di calcio si sono trovate”, ha scritto su Twitter. È davvero così? Il governo Meloni ha sì prorogato Opzione Donna, ma ha anche ridotto notevolmente la platea, esplicitando il problema di non poterla mantenere così com’era. Sono stati quindi cambiati i requisiti necessari per l’accesso ed è stata inserita una clausola di detrazione degli anni per ogni figlio. A questo si è aggiunta anche la limitazione importante dell’essere caregiver di persone disabili, invalidi civili almeno al 74% o dipendenti di aziende in liquidazione.

Il sistema pensionistico italiano, che si presenta dispari per uomini e donne, è una diretta conseguenza di politiche del lavoro che non garantiscono pari lavoro, stipendio e dignità a lavoratori e lavoratrici. Opzione Donna, così come era posta in passato, era un tentativo di riequilibrare tali disparità, ma è evidente che c’è anche la necessità di rafforzare le politiche del mercato del lavoro e sviluppare servizi per le famiglie e garantire alle donne un minor peso della cura domestica. La nuova Opzione Donna non fa né l’una né l’altra cosa.

Opzione donna cambia e non piace: cosa ha detto Orlando

Sono in molte a manifestare la propria contrarietà al cambiamento di Opzione Donna, che fino allo scorso anno consentiva di andare in pensione a 58 anni (se lavoratrice dipendente) o a 59 anni (se lavoratrice autonoma) alle donne con 35 anni di contributi maturati entro il 31 dicembre dell’anno precedente.

Nel 2021 grazie a Opzione Donna erano state 20.681 le donne che avevano potuto anticipare la propria pensione, un dato in aumento del 15% nel 2022. Opzione Donna nel 2023 cambia e lo fa con un forte ribasso per la platea, stringendo intorno alle lavoratrici una serie di requisiti molto limitanti.

Contro questi cambiamenti alza la voce - su Twitter - l’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando
che proprio lo scorso anno aveva rassicurato sulla proroga di Opzione Donna per almeno un altro anno. La proroga si intendeva con gli stessi requisiti, ma il governo Meloni ha prorogato l’Opzione cambiando faccia al sistema di pensione per le donne.

Orlando infatti scrive su Twitter, lanciando esplicite frecciatine:

Le risorse (ingenti) per salvare le società di calcio si sono trovate. È incredibile che non si trovino quelle (si parla di 50 milioni) per garantire opzione donna alle stesse condizioni dello scorso anno. #opzionedonnastessirequisiti

Cosa cambia con i nuovi requisiti di Opzione donna: una platea sempre più ristretta

Il governo Meloni si è impegnato a prorogare Opzione Donna, ma non a mantenere il suo ruolo importante nel riequilibrio della disparità salariale tra uomini e donne. Infatti i nuovi requisiti di accesso sono tanto restrittivi che secondo le prime stime soltanto 800-3.000 donne potrebbero usufruire di Opzione Donna nel 2023. Si può dire che il governo ha letteralmente stravolto normativa, aumentando i requisiti necessari e aggiungendone alcuni molto restrittivi per il numero di beneficiarie.

Tra i requisiti troviamo infatti:

  • anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni
  • aver compiuto 60 anni entro il 31 dicembre 2022 (riduzione di un anno per ogni figlio nel limite massimo di 2 anni)
  • essere caregiver di persone disabili (ai sensi dell’ articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104), invalide civili con percentuale di invalidità di almeno il 74%, o lavoratrici di aziende in liquidazione.

Un primo sguardo sembrano avvantaggiate alcune, come le lavoratrici autonome che vedono la loro età pensionabile equiparata alle altre categorie di Opzione Donna, ma ci sono alcune importanti novità che rendono Opzione Donna più una sorta di “opzione danno”. In particolare l’ultimo requisito: essere caregiver di persone disabili o invalidi civili.

Orlando dice che opzione donna costa circa 50 milioni di euro e che si possono quindi trovare le risorse per finanziarla, ma il governo non sembra essere d’accordo e ha preferito non tagliare, ma fare un’operazione di restringimento della platea. Opzione Donna è stata quindi salvata, ma è solo una parte della realtà, che racconta invece forti limitazioni di accesso.

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