Pensioni, è allarme rivalutazione: gli aumenti possono essere bloccati?

Simone Micocci

10 Maggio 2023 - 09:54

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“La rivalutazione ha generato un gap di 22 miliardi di euro”. Dopo le critiche di Lagarde (“La perequazione alimenta l’inflazione”) anche Pasquale Tridico mette in discussione gli aumenti.

Pensioni, è allarme rivalutazione: gli aumenti possono essere bloccati?

Dopo Christine Lagarde, anche Pasquale Tridico - presidente dell’Inps prossimo all’addio - ha messo alla luce i problemi della rivalutazione (o perequazione) delle pensioni, ossia quel meccanismo con cui gli assegni vengono adeguati ogni inizio anno in base all’andamento del costo della vita così da limitarne la perdita del potere d’acquisto dovuta all’inflazione.

Uno strumento che garantisce ai pensionati aumenti costanti, come quello d’inizio 2023 con il quale gli assegni sono stati incrementati fino a un massimo del 7,3%, tasso d’inflazione medio (provvisorio) accertato dall’Istat per gli ultimi 12 mesi.

Tuttavia, non tutti apprezzano la rivalutazione o meglio ne riscontrano delle problematiche. Nel caso della presidente della Bce la contestazione riguarda il fatto che l’indicizzazione delle pensioni rappresenta un ostacolo alle politiche messe in campo per frenare l’inflazione; secondo Lagarde, infatti, come dimostrato in passato, strumenti come la perequazione contribuiscono ad alimentare l’aumento dei prezzi, rendendo l’inflazione incontrollabile.

Per quanto riguarda il presidente dell’Inps, invece, si tratta perlopiù di un problema di conti: con l’aumento delle pensioni dovuto alla rivalutazione, infatti, è salita anche la spesa pensionistica. Il problema è che non si può dire lo stesso delle entrate, visto che gli stipendi sono rimasti fermi.

Rivalutazione delle pensioni: per quanto sarà sostenibile ancora?

Da tempo il presidente (uscente) dell’Inps fa leva sullo squilibrio dei conti dell’Inps per spiegare le ragioni per cui riforme, come quelle che vorrebbero l’addio alla legge Fornero, rischiano di essere insostenibili per i conti pubblici.

Dopo aver svelato cosa potrebbe succedere tra qualche anno, quando il rapporto tra pensionati e lavoratori - sul quale poggia la stabilità della spesa pensionistica - potrebbe arrivare a essere di uno a uno (senza contare che già oggi in molte province i pensionati sono più dei lavoratori), Tridico si sofferma sulla rivalutazione.

Nel dettaglio, questo ha messo in risalto l’aumento della spesa pensionistica sostenuta dall’Inps a causa dell’ultima rivalutazione che a causa dell’alto tasso d’inflazione ha garantito aumenti persino a due zeri ai pensionati. Ma se da una parte chi prende una pensione può sorridere per l’incremento riconosciuto, dall’altra l’Inps deve fare i conti con il maggior esborso al quale non è seguito però un aumento delle entrate. L’Istituto, infatti, viene finanziato dai versamenti contributivi dei lavoratori, calcolati sulla base di stipendio (per i lavoratori dipendenti) e reddito (per gli autonomi): il fatto però che gli stipendi non siano cresciuti - in quanto a differenza delle pensioni non sono legati all’andamento dell’inflazione - ha contribuito a generare un gap di 22 miliardi di euro.

A tal proposito, Tridico si chiede per quanto tempo possiamo permetterci questo accumulo di gap, mettendo quindi in dubbio la possibilità di continuare con la rivalutazione annua degli assegni.

Anche perché va ricordato che quella attuata nel 2023 è stata solamente una rivalutazione parziale visto che sopra le quattro volte l’importo minimo della pensione, quindi per gli assegni superiori a circa 2.100 euro, è scattata la tagliola voluta dal governo Meloni che ha ristretto le percentuali di perequazione.

Cosa può succedere?

Per il momento, nonostante le critiche di Lagarde e il monito di Tridico, la rivalutazione non è in discussione. Quel che è certo è che - nonostante la richiesta dei sindacati di tornare a una rivalutazione più generosa anche per gli assegni sopra i 2.100 euro - anche nel 2024, come previsto dalla legge di Bilancio scorsa, si continuerà con la rivalutazione ridotta voluta dal governo Meloni.

Anche perché l’esborso rischia di essere ancora elevato: basti guardare al tasso d’inflazione fino a oggi accertato: +10% a gennaio e +9,1% a febbraio, poi un rallentamento a marzo (7,6%) e un’ulteriore crescita ad aprile (+8,3%). Nel primo quadrimestre, quindi, viene accertato un tasso medio dell’8,75%, persino superiore a quello registrato per tutto il 2023. Un valore che comunque sembra destinato a scendere nei prossimi mesi, ma comunque resterà alto obbligando l’Inps ad aumentare ancora la spesa per le pensioni.

Tutto questo potrebbe però avere dei risvolti sulla riforma in cantiere: l’incremento della spesa pensionistica, infatti, potrebbe limitare le chance di rivedere la legge Fornero introducendo misure di maggior flessibilità. E la rivalutazione potrebbe anche essere un ostacolo al progetto - specialmente da parte Forza Italia - di portare le pensioni minime a 1.000 euro.

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