Pensione in anticipo a 62 anni o con 41 anni di contributi nel 2024? Ecco cosa può succedere davvero

Simone Micocci

14 Marzo 2023 - 11:13

condividi

Pensione, si valuta la migliore opzione di flessibilità per il 2024: si potrà andare in pensione a 62 anni o in alternativa con 41 anni di contributi? Più probabile che servano entrambi i requisiti.

Pensione in anticipo a 62 anni o con 41 anni di contributi nel 2024? Ecco cosa può succedere davvero

Ci si interroga sul futuro delle pensioni: mentre il tavolo tra sindacati e governo attende una nuova convocazione, ci si comincia a interrogare su cosa effettivamente può succedere il prossimo anno considerando anche le - poche - risorse a disposizione per la riforma delle pensioni.

Da tempo si discute su eventuali nuove misure di flessibilità che potrebbero aiutare a superare la legge Fornero, ma nonostante i proclami di proposte concrete ce ne sono state davvero poche. Da parte dei sindacati le idee sembrano essere piuttosto chiare: c’è la richiesta, infatti, di consentire il pensionamento già a 62 anni, o in alternativa con 41 anni di contributi; per tutta risposta il governo Meloni per il 2023 ha sintetizzato queste proposte in un’unica opzione per il pensionamento, la cosiddetta Quota 103 che per l’appunto consente di andare in pensione al compimento dei 62 anni solo se nel contempo sono stati maturati almeno 41 anni di contributi.

Non proprio quello che chiedevano le parti sociali, anche perché la platea di coloro che quest’anno potranno approfittare di Quota 103 per andare in pensione non dovrebbe superare i 40.000 lavoratori.

Ecco perché il discorso si è spostato al 2024, quando il governo avrebbe dovuto avere più soldi e tempo per discutere di una riforma delle pensioni strutturale, senza quindi prevedere misure “tampone” limitate a uno o due anni. I ritardi di questi giorni stanno però facendo riflettere: e se alla fine nel 2024 ci si limitasse a una proroga di Quota 103 rinviando la riforma di un altro anno?

Riforma pensioni, tra sogni e solide realtà

I sindacati non hanno fatto mistero su come dovrà essere la riforma delle pensioni:

  • consentire ai lavoratori di andare in pensione a 62 anni (non specificando con quanti anni di contributi);
  • in alternativa puntare su Quota 41 per tutti, consentendo così il pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica al raggiungimento dei 41 anni di contributi.

Specialmente sulla seconda opzione sembra esserci convergenza con il governo: pochi giorni fa, infatti, il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, ha ribadito l’intenzione dell’Esecutivo di arrivare alla pensione con 41 anni di contributi “entro la fine della legislatura”. D’altronde Quota 41 è da sempre il sogno della Lega: se ne era parlato già nel post Quota 100 e durante l’esperienza del governo Draghi il Carroccio ne ha persino depositato un disegno di legge.

Tuttavia, a oggi sembra essere più un sogno che altro: sicuramente non si farà nel 2024, visto che oggi le priorità del governo Meloni sembrano essere altre. Dalla riforma fiscale al nuovo Reddito di cittadinanza, senza dimenticare che la questione energetica è ancora un problema di primo piano: la realtà, quindi, ci dice che per le pensioni la riforma può ancora aspettare, il che rende difficile pensare che nel 2024 si possa andare in pensione con 62 anni di contributi o - in alternativa - con 41 anni di contributi. Più probabile che bisognerà soddisfare entrambi i requisiti come successo nel 2023.

Pensioni, quali misure di flessibilità nel 2024?

Visto quanto detto sopra, a oggi è molto probabile che il governo decida di prorogare Quota 103 per un altro anno. Anche nel 2024, quindi, si potrebbe andare in pensione solo se i 62 anni di età e i 41 anni di contributi vengono soddisfatti in contemporanea.

Più complicato, se non impossibile, sarà slegare questi due contributi prevedendo due misure ad hoc. Le soluzioni però non mancherebbero: ad esempio, per la pensione a 62 anni potrebbe tornare in auge la proposta avanzata dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, il quale ha suggerito di suddividere la pensione in due quote, distinguendo quella calcolata con il retributivo da quella del contributivo, e liquidare solamente quest’ultima al momento del pensionamento anticipato che potrebbe arrivare anche a 62 anni e 20 anni di contributi. Per la liquidazione della parte maturata con il retributivo, che solitamente è la più sostanziosa, si dovrebbe invece attendere fino al compimento dei 67 anni.

Per quanto riguarda la pensione con 41 anni di contributi, invece, il piano è noto da tempo: estendere a tutti la possibilità di ricorrere a Quota 41, e non solo ad alcuni precoci come avviene oggi. Una misura che da sola costerebbe nell’immediato circa 5 miliardi di euro, con un picco di 9 miliardi nei prossimi anni: ma il costo potrebbe ridursi prevedendo delle penalizzazioni in uscita, ad esempio un ricalcolo interamente contributivo per chi utilizza Quota 41 per andare in pensione. Tuttavia, su questo tema i sindacati si sono dimostrati piuttosto intransigenti: “Niente penalizzazioni per le misure di flessibilità”.

La situazione, quindi, non sembra essere di facile soluzione, ragion per cui il governo potrebbe aver bisogno di più tempo per trovare una quadra. E la soluzione tampone sarebbe appunto la proroga di Quota 103 per un altro anno, estendendo così la platea anche per i nati nel 1962.

Iscriviti a Money.it