No alla casa familiare se i figli vivono altrove, la Cassazione

Ilena D’Errico

31 Maggio 2025 - 22:54

La casa familiare non deve essere assegnata se i figli si sono abituati a vivere altrove. Ecco cos’ha deciso la Cassazione e perché le capacità economiche dei coniugi non contano.

No alla casa familiare se i figli vivono altrove, la Cassazione

Di recente la Corte di Cassazione è tornata più volte sul tema dell’assegnazione della casa familiare, ribadendo l’interesse prioritario dei figli. Questo è l’obiettivo che deve guidare i giudici nel provvedimento, tanto quando si decide di assegnare la casa familiare al genitore collocatario, tanto quanto si ritiene opportuno il contrario. Ecco perché se i figli vivono altrove, hanno già consolidato delle abitudini e raggiunto un’armonia familiare, il collocatario non può ottenere l’assegnazione della casa. Non conta, infatti, che fosse la sede del nucleo familiare e che la prole fosse abituata a viverci, se ormai si è verificato uno stabile allontanamento. Nella stessa occasione, la Cassazione ha ribadito che le questioni di natura economica e patrimoniale non rilevano nell’assegnazione.

Anche in questo caso, non importa da quale punto di vista si guardi la vicenda. Il genitore collocatario non ha diritto alla casa se è in condizioni economiche più deboli dell’altro, così come quest’ultimo non può pretendere di rientrare nella casa assegnata in un periodo di difficoltà. Con ordinanze puntualmente motivate e basate sul diritto di famiglia gli Ermellini danno prova di uno spirito equo ed imparziale. Non ci sono sconti, contano soltanto i diritti dei figli. Un promemoria più che mai necessario, in particolar modo nelle cause di divorzio e separazione. Ovviamente la Corte si è pronunciata di volta in volta sul caso concreto posto dal ricorso, ma l’orientamento della giurisprudenza è ormai chiaro.

Niente casa familiare se i figli vivono altrove

La casa familiare è quella in cui la famiglia risiedeva stabilmente prima della separazione o del divorzio. In questa casa i figli sono cresciuti, hanno stabilito delle abitudini, una routine e un legame anche affettivo. Nella maggior parte dei casi la casa familiare ha anche una posizione strategica o comunque pratica rispetto ai luoghi di interesse per i figli, come la scuola, la casa dei nonni, i centri sportivi e così via. Costringere i figli a rinunciare a questa armonia e cambiare drasticamente tutta la propria vita non è mai preferibile, apparendo più che altro come una delle conseguenze della separazione coniugale che non dovrebbero incidere sul benessere dei minori.

Ecco perché i giudici possono accertarsi che i figli continuino a vivere nello stesso immobile, per l’appunto assegnando la casa coniugale a tale scopo. In presenza di un genitore collocatario, quindi che vive stabilmente con i figli, la casa familiare viene assegnata a quest’ultimo indipendentemente dalla proprietà. Il genitore conserva così il diritto ad abitare nell’immobile finché lo ha la prole. Nei rari casi in cui può essere attuato un collocamento paritario, in cui i figli vivono per metà del tempo con un genitore e per l’altra metà con l’altro, è invece preferibile che i genitori si scambino all’interno della casa familiare, che appunto resta il punto di riferimento della prole.

Se i figli si sono trasferiti altrove durante la separazione, seguendo il genitore collocatario, e hanno consolidato legami e abitudini differenti, tuttavia, non è possibile chiedere l’assegnazione della casa, né sarebbe nell’interesse dei minori. È quanto ricorda la Cassazione con l’ordinanza n. 13138/2025.

La casa familiare non c’entra con i problemi economici

La citata ordinanza n. 13138/2025 ribadisce un altro importante principio: l’assegnazione della casa familiare non risponde a esigenze economiche. Nel caso affrontato dalla Suprema corte, infatti, l’assegnazione veniva pretesa non soltanto per riportare i figli nella casa esaudendo il loro desiderio (nonostante fossero ormai abituati a vivere in un’altra casa) ma anche per la fragilità economica del genitore collocatario. Le condizioni patrimoniali dei coniugi, tuttavia, non possono influire sull’assegnazione, che deve dipendere in via esclusiva dal preminente interesse dei figli. Al contrario, si tiene conto dell’assegnazione per determinare le capacità economiche di entrambi.

La Cassazione ha confermato lo stesso principio anche con l’ordinanza n. 12249/2025, che ha negato l’assegnazione parziale dell’immobile già assegnato al non collocatario, nonostante proprietario e in difficoltà economica. In altri termini, chi vive con i figli non può richiedere la casa familiare soltanto perché è in condizioni economiche più fragili rispetto all’altro. Di pari passo, chi non vive con i figli ed è proprietario della casa familiare assegnata non può pretenderne una parte neanche se attraversa un momento di difficoltà economica. Questo principio può essere derogato soltanto se effettivamente l’immobile ha spazi idonei ed è divisibile adeguatamente, senza forzare la convivenza e interrompere le nuove abitudini della famiglia.

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