I dazi sulle importazioni cinesi costano circa un miliardo di dollari alla multinazionale americana, che annuncia un aumento dei prezzi in autunno per contrastare l’impatto tariffario.
Nike ha affermato che i dazi imposti dagli Stati Uniti sulle importazioni dalla Cina avranno un impatto pesante sui conti del gruppo, pari a circa 1 miliardo di dollari nell’anno fiscale in corso. L’effetto diretto di questa ondata di protezionismo sarà avvertito, già dall’autunno, dai consumatori americani che dovranno fare i conti con un aumento dei prezzi delle sneaker e degli altri prodotti a marchio Nike. L’azienda ha infatti annunciato che trasferirà parte di questi costi extra sul mercato attraverso un “aumento chirurgico” dei prezzi, mirato a contenere l’impatto ma inevitabile per salvaguardare i margini operativi.
Attualmente, il 16% delle calzature importate da Nike proviene dalla Cina, una quota che il gruppo punta a ridurre entro la fine del 2026, accelerando la diversificazione della produzione verso altri Paesi asiatici. Tuttavia, nel breve termine, la dipendenza dalla manifattura cinese resta significativa e rende il colosso dell’Oregon particolarmente esposto alle tensioni commerciali tra Washington e Pechino. “Questi dazi rappresentano un nuovo e significativo ostacolo in termini di costi”, ha dichiarato il direttore finanziario Matthew Friend, sottolineando la necessità di ottimizzare la catena di approvvigionamento e riallocare la produzione su scala globale.
Il peso dei dazi su Nike: vendite in calo, ma il titolo sale in Borsa
Il colpo dei dazi arriva in un momento delicato per Nike, che ha appena chiuso l’esercizio 2024-25 con vendite globali in calo del 10% a 39,6 miliardi di euro e un fatturato trimestrale di 11,1 miliardi di dollari, il livello più basso dal terzo trimestre del 2022. Nonostante questi dati, il titolo Nike ha registrato un balzo del 15,3% in Borsa, il migliore tra le blue chip americane. Un segnale che il mercato ha apprezzato la capacità del gruppo di contenere le perdite e di prevedere un calo delle vendite inferiore alle attese per il prossimo trimestre.
Il CEO Elliott Hill, rientrato dal pensionamento per guidare la società in questa fase complessa, ha ammesso che “i risultati non sono all’altezza degli standard Nike”, ma ha anche ribadito la volontà di reagire con decisione. La strategia prevede una revisione profonda delle fonti di approvvigionamento e un’accelerazione sul fronte della diversificazione produttiva. L’obiettivo è di ridurre l’esposizione ai dazi e rafforzare la competitività.
Le ripercussioni per il settore e il rischio contagio
L’annuncio di Nike rappresenta un segnale forte per tutto il comparto dell’abbigliamento e delle calzature sportive, che da anni fa affidamento sulla Cina come hub produttivo di riferimento. L’imposizione di nuovi dazi da parte degli Stati Uniti rischia di innescare una spirale di rincari che potrebbe coinvolgere anche altri marchi internazionali, con effetti a catena sui prezzi al dettaglio e sulla domanda dei consumatori.
La mossa di Nike, che punta a trasferire solo una parte dei costi sui consumatori finali, riflette la difficoltà di bilanciare la necessità di difendere i margini con la paura di perdere quote di mercato in un contesto di consumi già rallentati. Il rischio, per l’intero settore, è infatti quello di una progressiva erosione della competitività rispetto ai player che hanno già diversificato la produzione o che possono contare su filiere meno esposte al rischio tariffario.
In prospettiva, dunque, la crisi potrebbe accelerare un processo di ristrutturazione della supply chain globale, spingendo le aziende a investire in nuovi mercati produttivi e a ripensare le strategie di prezzo e distribuzione.
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