Mobbing sul lavoro, come dimostrarlo e a chi rivolgersi

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18 Luglio 2025 - 18:44

Ecco come la giurisprudenza ha cercato di regolare le varie tipologie di mobbing sul posto di lavoro e come dimostrare e provare maltrattamenti.

Mobbing sul lavoro, come dimostrarlo e a chi rivolgersi

Dimostrare il mobbing rappresenta una sfida significativa per molti lavoratori che subiscono maltrattamenti sul posto di lavoro. Secondo la definizione riconosciuta, il mobbing consiste in una serie di comportamenti ostili nei confronti di un lavoratore, che possono manifestarsi in diverse forme.

Si distinguono principalmente tre tipi di mobbing: verticale, orizzontale e bossing, ciascuno con caratteristiche specifiche ma ugualmente gravi e dannosi. Ma le distinzioni possono essere anche più profonde e dettagliate.

Per poter dimostrare il mobbing sul lavoro, è necessario raccogliere prove concrete degli atti aggressivi, discriminatori e vessatori, nonché della loro ripetizione nel tempo. Inoltre, secondo la Corte di Cassazione, gli episodi devono protrarsi per almeno sei mesi per essere considerati legalmente rilevanti.

Le conseguenze per chi subisce mobbing possono essere profonde e durature, con un impatto significativo sul benessere fisico e psicologico della persona colpita. Un aspetto particolarmente insidioso è che le azioni di mobbing non vengono riconosciute immediatamente, in quanto si sviluppano gradualmente nel tempo, rendendo più complessa la loro documentazione.

Riconoscere e comprendere il fenomeno è il primo passo fondamentale per contrastarlo efficacemente. Ecco come dimostrare e provare il mobbing sul posto di lavoro.

Mobbing, cos’è?

Il mobbing è un fenomeno subdolo, si manifesta molto spesso in maniera nascosta come, per esempio, l’isolamento sociale della vittima. Possiamo individuare alcuni elementi che sono indispensabili a connotare una serie di azioni come “mobbizanti”.

Dal punto di vista oggettivo devono manifestarsi pluralità e reiterati comportamenti lesivi, ripetitività e sistematicità degli “attacchi” da parte del soggetto che agisce, che può essere il datore di lavoro, superiore o collega, nei confronti del lavoratore, predisposti ad ingenerare un disagio grave nella vittima.

Ad esso si aggiunge l’elemento soggettivo, ovvero lo scopo persecutorio, la volontà del soggetto agente di nuocere, discriminare il lavoratore o emarginarlo attraverso condotte lesive, reiterate nel tempo e sistematiche.

Ogni singolo atto persecutorio assume, quindi, rilevanza solo se è sorretto dallo specifico intento di spingere la vittima all’emarginazione nell’ambiente lavorativo ed in quanto sia reiterato e protratto sistematicamente nel tempo.

Infine il nesso di causalità: affinché si possa parlare di mobbing, non è sufficiente la sola realizzazione di plurime condotte illegittime, ma è necessario che il lavoratore riesca a provare, attraverso diversi elementi, che i comportamenti e le condotte vessatorie subite, siano il frutto di un disegno persecutorio unificante e preordinato.

Tipologie di mobbing: riconoscerle per dimostrarle

Per quanto attiene le tipologie di mobbing, distinguiamo un tipo individuale, qualora le condotte siano rivolte ad un unico soggetto ed un mobbing collettivo, ove le condotte abbiano ad oggetto un gruppo di lavoratori.

A seconda dei soggetti coinvolti e soprattutto della loro posizione nella gerarchia aziendale, è possibile individuare altre tipologie di mobbing:

  • mobbing verticale, quando la condotta persecutoria coinvolge soggetti collocati a diversi livelli della scala gerarchica;
  • mobbing orizzontale, quando la condotta mobbizzante è posta in essere da uno o più colleghi posti allo stesso livello della persona che ne è bersaglio.

Per il mobbing verticale è, inoltre, prevista una ulteriore suddivisione, ovvero:

  • mobbing discendente, quando i comportamenti aggressivi e vessatori sono posti in essere dal datore di lavoro (bossing), da un superiore gerarchico della vittima ed hanno una finalità ben precisa: quella di estromettere il lavoratore, determinando la sua volontà di lasciare l’azienda;
  • mobbing ascendente, quando, viceversa, un lavoratore di livello più basso attua mobbing contro un suo superiore o nei confronti del datore di lavoro stesso.

La normativa di riferimento per la tutela del lavoratore in caso di mobbing

Nel nostro Paese, non esiste una definizione normativa, né una specifica disciplina normativa del mobbing e, pertanto, ai fini della tutela del soggetto mobbizzato si ricorre, per quanto compatibili, alle norme civilistiche e penalistiche, nonché ai principi ricavabili dagli orientamenti consolidati in materia da parte della giurisprudenza e della dottrina.

Su questo fenomeno va infatti evidenziata una cospicua riflessione dottrinale e l’ormai diffusa elaborazione giurisprudenziale.

Oltre agli articoli della Costituzione e del codice civile ci sono le disposizioni contenute nelle leggi speciali come lo Statuto dei lavoratori (Legge n. 300/1970), il Codice delle pari opportunità (Dlgs n. 198/2006) e il Testo Unico per la sicurezza del lavoro (Dlgs n. 81/2008).

La Costituzione per prima, con sei articoli, tutela i diritti dell’individuo e della collettività in ambito lavorativo. Essa riconosce e tutela la salute come un diritto fondamentale dell’uomo. Precisamente:

  • all’art. 2, tutela la persona e il suo valore, sia come singolo che come soggetto inserito in un contesto sociale;
  • all’art. 3, stabilisce il principio di uguaglianza formale e sostanziale per scongiurare qualsiasi forma di discriminazione e attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli per la realizzazione di questo obiettivo;
  • all’art. 4, riconosce, da parte della Repubblica, il diritto al lavoro, promuovendo le condizioni necessarie per rendere effettivo questo importante diritto che è sancito dall’art. 1;
  • all’art. 32, riconosce il diritto al lavoro in forma individuale e collettiva;
  • all’art. 35, sancisce l’impegno della Repubblica nel tutelare il lavoro in tutte le sue forme;
  • all’art. 41, infine, tutela la libera iniziativa economica con il limite di non porsi in contrasto con l’utilità sociale e di non recare danno alla sicurezza, alla dignità e alla libertà umana.

Le responsabilità del datore di lavoro

Per il datore di lavoro si individuano numerosi profili di responsabilità giuridica, non solo quando egli costituisce il soggetto stesso delle condotte mobbizzanti di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo, ma anche quando questo tolleri azioni altrettanto deplorevoli messe in atto dai dipendenti della propria azienda.

La dottrina individua nell’art. 2087 del Codice civile una norma di chiusura del sistema di tutela dell’integrità del lavoratore.
In esso viene sancito che:

“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, seconda la particolarità del lavoro, l’esperienza la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro."

Si costituisce quindi un obbligo del datore di lavoro a prevenire o far cessare condotte mobbizzanti da parte di colleghi o superiori.

Come provare il mobbing: ecco cosa fare

Raccogliere prove concrete rappresenta la sfida cruciale per chi intende dimostrare il mobbing sul posto di lavoro. Per ottenere un riconoscimento legale e un eventuale risarcimento, è necessario documentare sistematicamente ogni episodio e raccogliere elementi oggettivi che confermino la natura persecutoria dei comportamenti subiti.

Testimonianze di colleghi o superiori

Le testimonianze rappresentano uno strumento fondamentale per provare il mobbing. Tuttavia, i colleghi spesso sono riluttanti a testimoniare, soprattutto nei casi di mobbing verticale, per timore di ritorsioni da parte dei superiori.

Chi può testimoniare? Principalmente chi ha assistito direttamente agli episodi vessatori: collaboratori, stagisti a tempo determinato o anche persone esterne all’ambiente lavorativo come fattorini o tecnici chiamati per assistenza. È importante sottolineare che non può testimoniare chi subisce le stesse condotte persecutorie, poiché il codice di procedura civile vieta la testimonianza a chi abbia un interesse che potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio.

Email, messaggi e documenti scritti

Le comunicazioni scritte costituiscono prove particolarmente efficaci. Email, lettere e messaggi, specialmente se contengono offese, calunnie o frasi diffamatorie, rappresentano documenti preziosi. La giurisprudenza ha stabilito che i messaggi di posta elettronica e gli SMS, anche se privi di firma, rientrano tra le riproduzioni informatiche e formano piena prova dei fatti rappresentati, a meno che la controparte non ne disconosca la conformità.

Il disconoscimento deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, non una semplice contestazione generica. È consigliabile conservare ogni comunicazione scritta e trasformare qualsiasi ordine verbale in una richiesta formale scritta.

Perizie mediche e certificati psicologici

La documentazione medica è essenziale per attestare i danni subiti. La perizia medico legale è l’unico documento riconosciuto dalla legge italiana per certificare il mobbing dal punto di vista medico.

Una perizia completa include: diagnosi del danno, dimostrazione del nesso di causa tra eventi lavorativi e danni biologici, e quantificazione del danno biologico in punti percentuali. I certificati di specialisti come psicologi, psichiatri o altri medici sono fondamentali per dimostrare che le patologie sono causate dall’attività lavorativa.

Registrazioni audio o video lecite

Le registrazioni possono costituire prove valide, ma con specifiche limitazioni. La Cassazione ha stabilito che è lecito registrare conversazioni sul luogo di lavoro quando sia necessario acquisire prove della violazione dei propri diritti.

È fondamentale essere fisicamente presenti alla conversazione registrata: non si può lasciare un dispositivo in una stanza e allontanarsi. Inoltre, le registrazioni devono essere utilizzate esclusivamente in sede giudiziaria e non possono essere diffuse o pubblicate.

Diario personale degli episodi subiti

Tenere un diario dettagliato degli episodi di mobbing rappresenta uno strumento essenziale. In questo documento è opportuno annotare data, ora, luogo e descrizione precisa di ciascun episodio, inclusi i nomi dei presenti. Questo registro metodico aiuta a dimostrare la sistematicità dei comportamenti molesti e diventa un elemento chiave per stabilire la frequenza e la durata delle condotte vessatorie.

Il diario dovrebbe includere anche gli effetti sulla salute fisica e psicologica, collegando temporalmente i sintomi con gli episodi di mobbing.

A chi rivolgersi e come agire legalmente

Una volta raccolte le prove necessarie per dimostrare il mobbing, è fondamentale sapere a quali figure professionali rivolgersi e come procedere legalmente. La scelta di un supporto adeguato può fare la differenza nell’esito della causa.

Ruolo dell’avvocato del lavoro

L’avvocato del lavoro, o giuslavorista, rappresenta un punto di riferimento essenziale per le vittime di mobbing. Questo professionista valuta la fondatezza della pretesa, redige lettere di diffida e assiste il lavoratore sia nella fase stragiudiziale che in quella giudiziale.

Il consulto tempestivo di un legale specializzato aiuta a individuare le forme più efficaci di tutela e a definire una strategia legale appropriata. L’avvocato esamina la documentazione, studia le norme applicabili e rappresenta il lavoratore in tutte le fasi del processo.

Supporto dei sindacati e consulenti del lavoro

I sindacati offrono un sostegno significativo a chi subisce mobbing. Forniscono assistenza legale gratuita, supporto psicologico e consulenza sindacale personalizzata, garantendo la privacy e la dignità della persona.

Prima di intraprendere azioni legali, è consigliabile informare il datore di lavoro, che è obbligato a intervenire, soprattutto nei casi di mobbing orizzontale tra colleghi. I consulenti del lavoro possono inoltre fornire supporto specialistico nella gestione della situazione.

Quando e come presentare una querela

Il mobbing non è considerato un reato specifico e autonomo nel codice penale italiano, tuttavia può comprendere atti che configurano reati procedibili su querela di parte. La querela deve essere presentata con una dichiarazione scritta o verbale presso i Carabinieri, la Polizia di Stato oppure depositata direttamente alla Procura della Repubblica.

Prima di questo passo, è consigliabile inviare una lettera di diffida al datore di lavoro, denunciando i comportamenti vessatori e riservandosi di chiedere al Giudice civile il risarcimento dei danni.

Tempistiche da rispettare per la denuncia

La querela per mobbing va presentata entro 3 mesi dall’ultimo atto illecito. Questo significa che la vittima ha 90 giorni di tempo per agire legalmente dopo l’ultimo episodio di comportamento vessatorio.

È importante considerare che denunciare comporta alcuni rischi, come possibili ritorsioni sul lavoro o stress aggiuntivo, sebbene esistano risorse e supporti disponibili. Inoltre, va tenuto presente che l’onere della prova ricade interamente sul dipendente, rendendo cruciale la raccolta preventiva di tutta la documentazione necessaria.

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