Tra petrolio, alleanze e rivoluzioni: la lunga metamorfosi del Medioriente e del suo posto nel mondo.
Un giorno, un mese, un anno, un secolo: anche gli eventi mediorientali vanno collocati in una prospettiva storica, in cui i vari protagonisti si susseguono perseguendo strategie di dominio che prevedono tattiche sempre diverse, perché cambiano profondamente anche le relazioni economiche.
Una volta che gli Usa sono diventati i primi esportatori al mondo di prodotti energetici di origine fossile, come si è vantato il Presidente Donald Trump nel corso del suo intervento all’ultima Assemblea generale dell’Onu, chiudendo un profondo gap economico che penalizzava il suo import, è ovvio che ne sono rimaste profondamente modificate anche le relazioni economiche e finanziarie con l’Arabia Saudita, che ha come principale cliente la Cina e non più gli Usa, e soprattutto quelle fondate sui petrodollari come strumento di dominio globale della valuta statunitense e di alimentazione del sistema finanziario statunitense attraverso la sottoscrizione dei titoli del debito federale e di azioni quotate a Wall Street.
Sono passati infatti ottant’anni dal Trattato di Yalta, firmato nel febbraio 1945, e dal successivo incontro ufficiale tra il Presidente americano Roosevelt ed il sovrano Ibn Saud, da cui prese le mosse quella Special Relationship che ha avuto una importanza enorme nelle relazioni globali: l’Arabia Saudita, principale produttore di petrolio, assecondava gli Usa aumentando o riducendo la produzione facendo oscillare violentemente il prezzo del barile a fini strategici, come accadde quando gli Usa vollero fare collassare l’URSS riducendone fortemente gli introiti derivanti dall’esportazione di petrolio.
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