Manovra, Marattin (Iv) a Money.it: “Mancata discussione è disfunzione sistema, aboliamo subito una Camera”

Stefano Rizzuti

28 Dicembre 2021 - 15:18

condividi

Luigi Marattin, presidente commissione Finanze, in un’intervista a Money.it definisce la mancata discussione della manovra una disfunzione del sistema e chiede una riforma per avere una sola Camera.

Manovra, Marattin (Iv) a Money.it: “Mancata discussione è disfunzione sistema, aboliamo subito una Camera”

Modifiche al Senato e quasi nessuna discussione alla Camera. L’iter della legge di Bilancio anche quest’anno è stato tutt’altro che lineare e l’approvazione arriverà solo all’ultimo momento, con tempi ristrettissimi per l’esame a Montecitorio. Proprio per questo motivo la commissione Finanze della Camera non ha espresso un parere sulla manovra.

Luigi Marattin, deputato di Italia Viva e presidente della commissione, in un’intervista a Money.it spiega le motivazioni di questo gesto parlando di “disfunzione strutturale del sistema, indipendente da chi è al governo”. Pur riconoscendo che quello di “quest’anno è un esempio piuttosto estremo”.

Secondo Marattin il problema risiede nell’attuale assetto istituzionale che a suo giudizio è “arrivato al capolinea”. Da qui la proposta del deputato di Iv: “Facciamo una Camera sola, da 600 persone, e facciamolo in quest’ultimo anno di legislatura”.

La commissione Finanze della Camera non ha espresso un parere sulla manovra: perché?

Perché abbiamo rispetto per le istituzioni e le istituzioni di un paese serio (e di una democrazia funzionante) non dovrebbero lavorare in questo modo, chiamando i parlamentari a far finta di esaminare, in poche ore o addirittura in pochi minuti, provvedimenti con centinaia di misure e decine di miliardi di risorse impiegate. E perché abbiamo rispetto per noi stessi. La commissione Finanze della Camera, assieme a quella del Senato, ha lavorato per sei mesi sulla riforma fiscale da gennaio a giugno, con 61 audizioni e decine di sedute di discussione e analisi, culminate con l’approvazione di un documento che ha fatto da base sia alla legge delega che all’intervento stesso della legge di Bilancio. Ci sembrava indelicato aver passato sei mesi sulla cornice della riforma, e dover passare poi sei minuti sulla norma che cominciava ad attuarla.



La vostra è una protesta anche contro il governo e il metodo di Draghi?

Questo modo di far lavorare il Parlamento dura da anni, in cui hanno governato tutti i partiti attualmente presenti. Con tutti i tipi di governo: tecnico, politico, populista, europeista, di destra, di sinistra, di centro, di lato. Sebbene con diversi accenti di gravità, ma il problema si è sempre presentato. Segno che siamo di fronte ad una disfunzione strutturale del sistema, indipendente da chi è al governo.



Non è la prima volta che la discussione della legge di Bilancio in una Camera venga compressa: cosa è successo di diverso rispetto al solito? Il fatto che la maggioranza sia così ampia faceva sperare che quest’anno andasse diversamente? 

Come dicevo il problema si presenta da anni, con diversi gradi di intensità. Indubbiamente quello che si è verificato quest’anno è un esempio piuttosto estremo, e credo sia dovuto proprio al fattore che lei sottolinea, ma in senso opposto: una maggioranza così ampia tende a coordinarsi in modo peggiore e più difficile su provvedimenti di spesa così rilevanti. 



In generale il ruolo del Parlamento sembra sempre più ridotto: anche con il governo Draghi la situazione non è migliorata e molto spesso le Camere si limitano a votare la fiducia ai decreti, peraltro in tempi compressi…

Quando il Parlamento dimostra di saper lavorare con serietà e senso di responsabilità, i suoi spazi se li prende. L’esempio perfetto è proprio la riforma fiscale. Nasce da un’iniziativa parlamentare (l’indagine conoscitiva delle due commissioni Finanze, giusto un anno fa), e il governo Draghi ha dimostrato non solo di rispettare quel lavoro, ma anche di riprenderlo pressoché integralmente, sia nella legge delega che nell’intervento da otto miliardi in legge di Bilancio (quest’ultimo poi, non dimentichiamolo, partorito da una apposita cabina di regia fiscale che il ministro Franco ha riunito per una settimana al Mef nella seconda metà di novembre). Morale della favola: il ruolo del Parlamento e dei partiti politici non è indipendente da come essi decidono di interpretare la loro funzione e il loro ruolo.



Lei ha parlato di necessità di riformare il funzionamento delle istituzioni: a cosa fa riferimento?

Mi sfugge cos’altro debba succedere per segnalare in modo inequivocabile che questo assetto istituzionale, che nei suoi assetti fondamentali dura da tre quarti di secolo, è arrivato al capolinea. Non solo il bicameralismo paritario, ma anche i regolamenti parlamentari, il funzionamento delle commissioni. Il taglio del numero dei parlamentari ci offre l’occasione perfetta di legittimare quello che già è nei fatti: facciamo una Camera sola, da 600 persone, e facciamolo in quest’ultimo anno di legislatura. Volendo il tempo c’è. Il buon funzionamento delle istituzioni non è da perseguire a vantaggio di questo o quel partito politico, di questo o di quel leader, ma è un bene pubblico che garantisce il buon funzionamento delle istituzioni repubblicane e della democrazia rappresentativa. Anche per evitare che magari un giorno qualcuno, stanco dei suoi malfunzionamenti e distorsioni, non si faccia convincere che esistono forme di governo più efficienti (un pericolo molto reale: basta guardare cosa succede all’estero, e non troppo lontano da noi).



Infine, nel merito della manovra: qual è il suo giudizio sulla legge di Bilancio e quali sono i punti su cui non siete soddisfatti come Italia Viva?

Difficile condensare in pochi punti il giudizio su un provvedimento così corposo. Non è un mistero che Italia Viva avrebbe gradito un po’ più di soldi sulla riduzione delle tasse e un po’ meno sul reddito di cittadinanza e pensioni. Noi non abbiamo fatto come altri partiti che in tv chiedevano più soldi per tagliare le tasse, poi ai tavoli di governo chiedevano soldi per sussidi e pre-pensionamenti: abbiamo sempre mantenuto al primo posto la riforma fiscale, e continueremo a farlo in futuro. Poi credo sia arrivato il momento di fare un’altra riflessione: siamo sicuri che il posto per le decine e decine di norme localistiche e micro-settoriali sia la legge di Bilancio e non, invece, un apposito provvedimento a sé stante da approvare dopo la sessione di bilancio? Ne guadagnerebbe sia la trasparenza (i micro-interventi sarebbero più visibili, e ognuno potrebbe giudicarne l’utilità) sia l’efficacia: la legge di Bilancio si potrebbe concentrare sui macro-temi e le riforme, e non essere “sporcata” da interventi magari degnissimi – beh, forse non proprio tutti… – ma che fanno perdere il carattere strutturale.

Iscriviti a Money.it