Locazioni brevi, conviene di più la cedolare secca o la partita Iva?

Nadia Pascale

12 Dicembre 2025 - 09:44

Nuova stretta del Governo sulle locazioni brevi, dal terzo immobile è necessario avere la partita Iva, ma cosa conviene di più: la partita Iva o la cedolare secca? Ecco le simulazioni.

Locazioni brevi, conviene di più la cedolare secca o la partita Iva?

Per le locazioni brevi, ai fini della tassazione, conviene di più la cedolare secca o la partita Iva?

La Legge di Bilancio 2026 in tema di locazioni brevi porta importanti novità. In particolare con gli emendamenti presentati dal Governo l’11dicembre, viene eliminata la disparità di trattamento tra immobili locati direttamente e immobili locati tramite intermediario. Anche nel 2026, in base all’impianto attualmente in discussione, si dovrebbe pagare un’imposta con aliquota al 21% per attività di affitto su una sola unità immobiliare e 26% per unità immobiliari ulteriori.

Viene però cambiato il limite, in precedenza si poteva considerare attività non svolta a carattere imprenditoriale se le unità concesse erano non superiori a 4, ora il limite cambia e scende a 2: dal terzo immobile viene considerata attività imprenditoriale e quindi è necessario avere la partita Iva.

A questo punto però possiamo chiederci: conviene di più la partita Iva o la cedolare secca? Ecco una breve disamina delle soluzioni possibili.

Locazione breve, le caratteristiche dell’attività di impresa con partita Iva

L’ipotesi che analizziamo è quella di una partita Iva in regime forfettario, compatibile con lavoro dipendente se il reddito da lavoro dipendente maturato nell’anno precedente non supera i 35.000 euro. Questo dato è importante perché spesso chi concede un immobile per affitto breve in genere ha anche un altro lavoro. Si tratta di entrate extra.

Secondo la normativa fiscale italiana e la prassi dell’Agenzia delle Entrate, l’obbligo di partita Iva scatta quando l’attività di locazione breve assume carattere imprenditoriale. Le caratteristiche che fanno rinvenire tale attività d’impresa sono diverse:

  • continuità e frequenza dell’attività svolta (si ritiene che anche un solo appartamento, se concesso in locazione in modo continuativo al punto da essere impegnato tutto l’anno e con servizi aggiuntivi, ad esempio cambio biancheria quotidiano, sia attività imprenditoriale);
  • numero di immobili gestiti (attualmente il limite è 4, dovrebbe scendere a 2 nel 2026);
  • si offrono servizi aggiuntivi tipici delle strutture alberghiere, come fornitura di biancheria, pulizie quotidiane, accoglienza;
  • uso di intermediari digitali (non costituisce attività imprenditoriale se si affittano 2 appartamenti tramite Airbnb, senza servizi extra e senza continuità);
  • organizzazione imprenditoriale, ad esempio nel caso in cui ci siano collaboratori o dipendenti.

Appare evidente la possibilità di optare per la partita Iva anche nel caso in cui sia destinata alla locazione breve una sola unità abitativa, ma conviene?

Codice Ateco locazione breve e regime di tassazione con partita Iva forfettaria

Il codice Ateco di tale tipologia di attività è: 55.20.42 – “Servizi di alloggio in camere, case e appartamenti per vacanze.
A questo punto ci possono essere 2 scelte: regime forfettario, ma la somma di ricavi e compensi nell’anno di imposta non deve essere superiore a 85.000 euro. Al superamento del limite si esce dal forfettario dall’anno di imposta successivo e si entra automaticamente nell’ordinario con tassazione a scaglioni Irpef. Superando il limite di 100.000 euro di ricavi e compensi, si esce dal forfettario in modo immediato in corso di anno.

Si può scegliere il regime ordinario per volumi di affari particolarmente importanti.

Nel primo caso, cioè forfettario la tassazione è al 5% per i primi 5 anni e al 15% per gli anni successivi. Si tratta di un’imposta sostitutiva, quindi, non sono dovute addizionali e Irap e non sono previsti adempimenti Iva.

Come si calcolano le tasse nel regime forfettario per le locazioni brevi

L’articolo 1, comma 65, della Legge n. 190/14 prevede un’imposta sostitutiva del 5% anziché del 15% per le nuove attività in regime forfettario per i primi 5 anni, ma vi è una condizione da rispettare: non deve trattarsi di prosecuzione di attività già svolta come lavoratore autonomo o dipendente.

In questo caso si può ritenere che, se anche le attività di locazione erano già poste in essere prima, di certo non si trattava di lavoro autonomo o dipendente, al più trattasi di attività occasionale. Non dovrebbero quindi esservi problemi a ottenere l’aliquota agevolata al 5%.

In ogni caso, se anche non si rientra nell’aliquota al 5%, si può avere l’aliquota del 15%. L’aliquota del 15% non viene, inoltre, applicata all’intero importo dei ricavi, ma a una percentuale che dipende dal coefficiente di redditività.

In questo caso con il codice Ateco 55.20.42 è del 40%, molto basso. Ne consegue che se si incassano 100 euro, le imposte devono essere versate su 40 euro. In restanti 60 euro sono considerate spese, calcolate in modo forfettario. Si tratta di 6 euro di imposta sul reddito (con aliquota del 15%), con cedolare secca si pagano minimo 21 euro. In realtà con il regime forfettario le imposte sarebbero ancora di meno perché devono essere portati in deduzione, sull’intero anno, i contributi obbligatori versati. Il regime forfettario ammette questa sola deduzione analitica.

La nota dolente in questo caso possono essere, appunto, i contributi INPS da versare, che non sono, invece, dovuti come attività occasionale e cedolare secca. In questo caso i contributi INPS sono calcolati proporzione al reddito prodotto con aliquota del 24,48%. I contributi devono però essere calcolati sul reddito da forfettario, cioè tornando ai 100 euro precedenti, non si versano i contributi INPS su 100 euro, ma su 40 euro. Si tratterebbe di 9,72 euro.
Se in un anno non si conseguono ricavi non si pagano i contributi perché non è previsto il minimale. Gli stessi contributi sono comunque utili ai fini pensionistici.

Diciamo che in linea di massima, si versano quasi gli stessi importi (dobbiamo considerare un costo di circa 300 euro l’anno per la gestione della partita Iva, non è un costo obbligatorio, ma se si fa affidamento a un commercialista, si deve considerare), ma con il regime forfettario è riconosciuta una quota di contributi INPS.

Una valutazione più attenta deve essere effettuata nel caso in cui si superino i limiti del forfettario e si debba avere una partita Iva in regime ordinario con tassazione Irpef a scaglioni e aliquota compresa tra il 23% e il 43%.

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