Un crollo improvviso, un progetto ambizioso, una verità scomoda che cambia tutto. Nessuno si aspettava questa reazione, e ora il mercato deve scegliere.
Un titolo che negli ultimi anni è stato sempre molto amato da parte di Piazza Affari, sia per numeri distintivi, sia per la vicinanza a uno dei comparti più redditizi del FTSE MIB: quello finanziario. Un titolo che stava facendo parlare molto di sé, dopo l’annuncio di un’operazione che l’avrebbe ufficialmente introdotta, almeno in parte, nel circuito bancario italiano. Un progetto che sembrava piacere parecchio agli azionisti.
Il crollo delle azioni Azimut è stato davvero eccessivo, quindi le valutazioni possono essere considerate interessanti? Oppure siamo di fronte al preludio di un nuovo trend ribassista? Lo studio porta alla luce verità che online si discutono poco.
Azimut, una storia atipica e un modello distintivo
Il titolo in questione è Azimut Holding. Non è solo una SGR e non è una banca, ma un conglomerato di consulenza finanziaria, asset management, strutture distributive e fondi con una presenza globale. Fin dalla nascita, Azimut ha costruito un modello basato un senso di distinzione rispetto ai modelli degli istituti di credito italiani.
E proprio per questa identità distinta, l’annuncio del progetto “The New Bank” (TNB) aveva generato entusiasmi oltre le aspettative.
Il crollo del 13 novembre in apertura e lo shock inatteso
Il 13 novembre, in apertura, il titolo ha segnato un drawdown istantaneo tra il 13% e il 16%. Un movimento raro per Piazza Affari, specie per un titolo a larga capitalizzazione. La causa? Una nota di Banca d’Italia, che ha rilevato “rilevanti carenze di governance e organizzative” nella controllata Azimut Capital Management SGR S.p.A.
Detto così, può sembrare un appunto tecnico, quasi marginale. In realtà è molto di più. Si tratta di un colpo diretto alla reputazione regolamentare di una società che stava lavorando per entrare, proprio attraverso TNB, in un segmento che richiede impeccabili requisiti di governance: quello bancario.
In altre parole, se la governance di una controllata non passa gli standard della vigilanza, il progetto TNB entra automaticamente in una zona d’ombra. E il mercato questo lo ha capito immediatamente.
Il mercato prezzava già TNB come catalizzatore di crescita
Il mercato ha una natura puramente anticipativa. Non guarda a ciò che è, ma a ciò che potrebbe essere. E nel caso di Azimut, TNB veniva interpretato come una porta d’ingresso verso un segmento nuovo, potenzialmente ricco, e soprattutto complementare alle attività storiche del gruppo. Un’estensione del business che avrebbe potuto ampliare clienti, prodotti e scalabilità del modello.
Era dunque esagerato pensare che il titolo avesse incorporato parte di queste aspettative? No. Anzi era esattamente ciò che stava accadendo dopo i primi dettagli del progetto. Per una società sempre rimasta fuori dall’attività bancaria tradizionale, l’idea di costruire un veicolo bancario nuovo, snello e innovativo rappresentava un chiaro catalyst positivo.
Il crollo, quindi, non è stato solo un riprezzamento “tecnico”. È stato un riprezzamento “strategico”.
Il mercato ha dovuto fare i conti con tre elementi:
- La realizzazione del progetto TNB potrebbe rallentare o diventare più complessa.
- L’investimento già sostenuto per svilupparlo rischia di non generare ritorni nel breve, peggiorando il profilo di efficienza del capitale.
- L’incertezza regolamentare aumenta il rischio percepito, motivo per cui la correzione è andata oltre i livelli recenti di prezzo.
Per usare un linguaggio più sofisticato, il mercato ha riadattato il “multiple of expectation”, cioè il premio che gli investitori erano disposti a pagare in vista di un’evoluzione del business.
Il punto cruciale: il mercato ha recepito il piano di rimedio?
Azimut ha già avviato un piano di rimedio per risolvere le criticità evidenziate dalla Banca d’Italia. La domanda ora è semplice ma cruciale: gli operatori di mercato ci credono?
Perché, se le aspettative torneranno positive, lo faranno solo in presenza di segnali chiari che:
- la governance è stata sistemata,
- la relazione con Banca d’Italia è tornata su binari stabili,
- il progetto TNB rimane percorribile nei tempi e nei modi previsti.
È tutto qui. Senza questi tre pilastri, il mercato non riassegnerà al titolo un premio di crescita.
Valutazioni: P/E interessante, dividend yield quasi al 5%
Guardando ai numeri, il titolo oggi sembra presentare un P/E ratio nell’area di 12x (da aggiornare dopo la correzione) e un dividend yield del 4.83%. Per molti investitori italiani si tratta di livelli considerati “attraenti”, specie se confrontati con i livelli medi delle banche concorrenti, che negli ultimi anni si sono riposizionate più in ottica di distribuzione che di crescita.
Il punto, però, non è se il titolo “sembra economico”. Il punto è se il mercato crede che i prossimi anni saranno migliori degli ultimi dodici mesi. E questo dipende interamente dal ritorno di fiducia sul progetto TNB e sulla solidità regolamentare del gruppo.
Occasione o inizio della fine?
Non è possibile rispondere con certezza. Non oggi. Non dopo uno shock regolamentare di questo tipo. L’unica cosa vera è che il mercato si muoverà sulla base delle attese: se percepirà miglioramenti concreti nel piano di rimedio, potrebbe essere un segnale ottimistico. In caso contrario, pessimistico.
Sarà fondamentale osservare come il titolo reagirà nelle prossime settimane e come si comporterà su livelli volumetrici ormai completamente svuotati dopo un sell-off praticamente record.
© RIPRODUZIONE RISERVATA