Lavoro nero, rischi e sanzioni per azienda e dipendente

Simone Micocci

27 Febbraio 2024 - 22:11

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Lavoro nero, maxi sanzione per i datori di lavoro. E in alcuni casi a rischiare è anche il dipendente.

Lavoro nero, rischi e sanzioni per azienda e dipendente

Il lavoro nero in Italia è un problema ancora lontano dall’essere risolto ed è per questo motivo che negli ultimi anni le sanzioni sono diventate più severe.

Nel dettaglio, la maxi sanzione comminata al datore di lavoro che assume senza regolare contratto è stata aumentata dalla legge di Bilancio 2020, superando i 40 mila euro in casi molto gravi.

E non bisogna commettere l’errore di pensare che non ci siano rischi per chi lavora in nero: laddove tale situazione dovesse essere sfruttata a proprio favore, ad esempio facendo richiesta di aiuti statali, allora anche il lavoratore potrebbe rischiare una sanzione persino di tipo penale.

Senza dimenticare tutti gli altri svantaggi di lavorare in nero. In tale circostanza, infatti, il dipendente è la parte debole del rapporto, poiché vista la mancanza di un contratto, nonché di una copertura previdenziale e assicurativa, è privo di qualsiasi tutela (ad esempio in caso d’infortunio o malattia come pure a seguito di un licenziamento senza alcun motivo).

Ecco perché bisogna opporsi alla richiesta di lavorare in nero, denunciando chi ancora propone rapporti di lavoro irregolari come unica possibilità d’impiego.

A tal proposito in questa guida - aggiornata al 2024 - faremo chiarezza su come difendersi dal lavoro in nero, nonché su quali sono le situazioni in cui a rischiare non è solamente l’azienda ma anche il dipendente stesso.

Cos’è

Per lavoro in nero (lavoro irregolare) si intende un rapporto subordinato instaurato senza che il datore di lavoro adempia all’obbligo di procedere all’invio della comunicazione alle autorità (Centro per l’Impiego, Inps o Inail a seconda del tipo di attività di lavoro). Più comunemente è il rapporto in assenza di contratto di lavoro subordinato.

Il lavoro in nero è contro la legge; queste situazioni sono regolate da normative dedicate e sono previste delle sanzioni molto salate per il datore di lavoro che impiega dei dipendenti pagati in nero.

Sanzioni per il datore di lavoro

L’importo della maxisanzione per il datore di lavoro varia a seconda dei giorni d’impiego del dipendente in nero:

-* da 1.800 a 10.800 euro: per ogni lavoratore irregolare entro i 30 giorni di impiego effettivo;

-* da 3.600 a 24.600 euro: per ogni lavoratore irregolare con impiego effettivo compreso tra i 31 e i 60 giorni;

-* da 6.200 a 43.200 euro: per ogni lavoratore irregolare con impiego effettivo superiore ai 60 giorni.

Inoltre, se l’impiegato è uno straniero senza permesso di soggiorno l’importo della sanzione è aumentato del 20%.

In tal caso c’è anche il rischio di sanzioni penali. L’assunzione in lavoratore privo di permesso di soggiorno viola tanto articolo 22 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la discipina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, come pure quanto stabilito dal decreto n. 286 del 1998. A conti fatti ne scatta una pena che va da 6 mesi a 3 anni di reclusione con l’aggiunta di una multa da 5 mila euro.

La maggiorazione del 20% è prevista anche per l’impiego di minori in età non lavorativa, come pure in caso di recidiva per le stesse irregolarità in un arco di 3 anni.

Come evitare la maxisanzione

In soccorso del datore di lavoro c’è lo strumento della diffida obbligatoria con il quale è possibile mettersi a riparo dal pagamento della maxisanzione.

Questa prevede che il lavoratore venga regolarizzato entro un periodo di 120 giorni con contratto a tempo indeterminato, o determinato (non inferiore a tre mesi).

Una volta che il datore di lavoro dimostra l’avvenuta regolarizzazione del contratto incorrerà in una sanzione di misura minima.

Come denunciare il lavoro in nero

Il lavoro in nero è una violazione della legge e una lesione dei diritti fondamentali dell’individuo, con danno alla dignità e personalità. È importante denunciare, ecco come:

-*denunciare i fatti all’Ispettorato del Lavoro presso la direzione competente sul territorio;

-*riportare dati relativi all’attività e alle mansioni svolte, indicando l’indirizzo della ditta, il giorno di inizio del lavoro, gli orari di lavoro e la retribuzione percepita;

-*procurarsi prove documentali attestanti il lavoro effettuato ed eventuali prove testimoniali a sostegno della denuncia.

In alternativa ci si può rivolgere all’ufficio vertenze e legale di un sindacato per ottenere la consulenza delle associazioni di categoria con dei costi decisamente inferiori a quelli richiesti da un professionista abilitato.

Gli operatori investiti della causa provvedono ad aprire la pratica. L’organizzazione sindacale provvedere a svolgere le attività per addivenire a una conciliazione mediante una contrattazione e pacifica gestione della controversia.

Qualora l’azienda non sia disponibile a una definizione bonaria della problematica, gli studi legali convenzionati con il sindacato provvederanno a prendere in mano la pratica per gestire la causa davanti al giudice del Lavoro. Nella fase di preparazione della vertenza verranno coinvolti anche l’Inps e l’Inail e l’Asl di competenza territoriale che si occuperanno di appurare le irregolarità di loro competenza.

L’Inail verrà infatti coinvolto per controllare che il datore di lavoro tuteli i diritti contributivi e previdenziali del prestatore d’opera. L’Asl interverrà invece nel caso in cui vengano denunciate irregolarità connesse a condizioni igienico sanitarie o alla sicurezza sul lavoro non a norma per i lavoratori.

Un altro modo per denunciare la propria condizione di lavoratore in nero è quello di rivolgersi alla Guardia di Finanza e sporgere denuncia. Va detto che la denuncia in anonimato non è possibile in quanto le autorità dovranno raccogliere i dati di chi segnala l’irregolarità. Tuttavia, l’identità del denunciante non verrà comunque rivelata all’azienda, tutelando così la propria posizione nei confronti del datore di lavoro.

Come calcolare il risarcimento

Dopo che viene effettuata la denuncia il lavoratore ha diritto a un risarcimento per tutto ciò che non è stato pagato in precedenza dal datore di lavoro. Secondo la giurisprudenza, infatti, il lavoro in nero ha lo stesso valore di quello svolto da un regolare impiegato e per questo nel calcolo del risarcimento devono essere conteggiati:

  • retribuzione mensile;
  • Tfr.;
  • ferie non godute;
  • tredicesima;
  • quattordicesima (nei Ccnl che la prevedono);
  • ore di lavoro straordinario non retribuite.

Nel conteggio del risarcimento non rientrano invece permessi, eventuali scatti di anzianità e indennità. Sommando tutte queste voci insieme, tenendo conto del numero di giorni lavorati senza alcun tipo di contratto, si avrà modo di comprendere l’entità del rimborso spettante.

Il lavoratore avrà quindi diritto a ottenere un risarcimento di tutto ciò che non gli è stato concesso durante il periodo di lavoro in nero.

Sanzioni per il lavoratore

Il dipendente assunto in nero dal datore di lavoro è considerato la parte debole del rapporto e per questo non rischia alcuna sanzione se viene scoperto a lavorare in nero. Anzi, in questo modo il dipendente può sperare che il datore di lavoro, per evitare di dover pagare una nuova sanzione, decida di regolarizzare il suo contratto.

Ci sono dei casi, però, in cui anche il dipendente in nero è soggetto a sanzione. Ciò vale per:

-* chi è riconosciuto come disoccupato (è quindi iscritto al centro per l’impiego e ha rilasciato la dichiarazione di immediata disponibilità), pur non percependo alcuna indennità. In tal caso commette il reato di falsità ideologica in atto pubblico (ex art 483 del Codice Penale) per il quale è prevista una sanzione della reclusione fino a 2 anni;

-* chi prende l’indennità di disoccupazione Naspi, oppure che ha beneficiato di altri ammortizzatori sociali grazie al suo status di disoccupato rischia una contestazione per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art 316-ter del Codice Penale). La reclusione va dai 6 mesi ai 4 anni, ma se la somma indebitamente percepita è inferiore a 4 mila euro si applica una sanzione amministrativa che va dai 5.164 ai 25.822 euro. La sanzione non può superare il triplo dell’importo del beneficio percepito.

Il decreto n. 48 del 2023 - convertito con modificazioni dalla legge n. 85 del 2023 - ha poi introdotto un’apposita fattispecie di reato di appropriazione indebita dell’Assegno di inclusione. Nel dettaglio, all’articolo 7 si legge che:

  • chi lavora in nero e nonostante ciò fa domanda di Assegno di inclusione, rischia la reclusione da 2 a 6 anni;
  • chi lavora in nero mentre prende l’Assegno di inclusione e non ne dà comunicazione rischia la reclusione da 1 a 3 anni.

A ciò va aggiunto l’obbligo di restituire quanto indebitamente percepito.

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