Lavoro nero, nuovi furbetti scoperti dalla Guardia di Finanza. Ecco quali sono i rischi per l’azienda e quando le sanzioni si applicano anche al lavoratore.
La Guardia di Finanza continua i controlli per scoprire tutti coloro che lavorano in nero, così da sanzionare le aziende irregolari e - laddove ne sussistano le condizioni - anche i lavoratori stessi.
La stretta al lavoro nero continua nel 2023, con il governo Meloni che ha come obiettivo dichiarato quello di scovare tutte quei datori di lavoro che impiegano dipendenti privi di regolare contratto (e di conseguenza privi di tutela). E per chi viene scoperto le sanzioni sono molto severe: basti guardare di recente a un ristorante di Mestre, a cui è stata applicata una multa di 12 mila euro per aver impiegato diversi lavoratori in nero.
A riguardo, quasi ogni giorno ci sono esempi di attività sanzionate per lavoro nero, a conferma che questa pratica è ancora diffusa nel nostro Paese. Uno dei principali motivi per cui si sviluppano rapporti di lavoro irregolari è per il risparmio che si riesce a ottenere, non dovendo versare tasse o contributi. A farne le spese è il dipendente, considerato la parte debole del rapporto, poiché vista la mancanza di un contratto, nonché di una copertura previdenziale e assicurativa, non è sufficientemente tutelato per quanto potrebbe succedere, ad esempio in caso d’infortunio o malattia come pure a seguito di un licenziamento senza alcun motivo.
Ecco perché sarebbe opportuno opporsi alla possibilità di lavorare in nero, denunciando chi ancora propone rapporti di lavoro irregolari come unica possibilità d’impiego. A tal proposito in questa guida - aggiornata al 2023 - faremo chiarezza su come difendersi dal lavoro in nero, nonché su quali sono le situazioni in cui a rischiare non è solamente l’azienda ma anche il dipendente stesso.
Cos’è
Per lavoro in nero (lavoro irregolare) si intende un rapporto subordinato instaurato senza che il datore di lavoro adempia all’obbligo di procedere all’invio della comunicazione alle autorità (Centro per l’Impiego, Inps o Inail a seconda del tipo di attività di lavoro). Con questo termine si indicano tutti i lavori, le collaborazioni o le piccole prestazioni che si effettuano senza un regolare contratto e una successiva fattura.
In Italia il lavoro in nero è molto diffuso purtroppo e, secondo uno studio dell’Istat sono circa 2 milioni e 926 mila le unità di lavoro irregolari (dato riferito al 2020). Una grande fetta di lavoratori che non ha diritti e tutele di alcun genere sul posto di lavoro.
Il lavoro in nero è contro la legge; queste situazioni sono regolate da normative dedicate e sono previste delle sanzioni molto salate per il datore di lavoro che impiega dei dipendenti pagati in nero. Denunciare il lavoro in nero è possibile, ma non in forma anonima, e in alcuni casi è l’unica strada da percorrere nel tentativo di migliorare il mercato del lavoro in Italia.
Alcune volte però sono gli stessi lavoratori a richiedere di essere assunti in nero, non volendo rinunciare allo status di disoccupato e ai benefici che ne derivano (ad esempio l’indennità Naspi, come pure al Reddito di cittadinanza). Ma anche per alcune categorie di lavoratori senza contratto sono previste multe e sanzioni di non poco conto, nel momento in cui con un controllo si accerti la loro irregolarità.
Come denunciare il lavoro in nero
Dato che il lavoro in nero è in tutto e per tutto una violazione della legge e una lesione dei diritti fondamentali dell’individuo, con danno alla dignità e personalità, è bene approfondire quali sono gli strumenti legali e le opportunità a disposizione del lavoratore che intenda reagire a tale ingiustizia.
Vediamo quali sono i passi da percorrere per denunciare un rapporto di lavoro in nero:
- denunciare i fatti all’Ispettorato del Lavoro presso la direzione competente sul territorio;
- riportare dati relativi all’attività e alle mansioni svolte, indicando l’indirizzo della ditta, il giorno di inizio del lavoro, gli orari di lavoro e la retribuzione percepita;
- procurarsi prove documentali attestanti il lavoro effettuato ed eventuali prove testimoniali a sostegno della denuncia.
In alternativa ci si può rivolgere all’ufficio vertenze e legale di un sindacato per ottenere la consulenza delle associazioni di categoria con dei costi decisamente inferiori a quelli richiesti da un professionista abilitato. Gli operatori investiti della causa provvedono ad aprire la pratica. L’organizzazione sindacale provvedere a svolgere le attività per addivenire a una conciliazione mediante una contrattazione e pacifica gestione della controversia. Qualora l’azienda non sia disponibile a una definizione bonaria della problematica, gli studi legali convenzionati con il sindacato provvederanno a prendere in mano la pratica per gestire la causa davanti al giudice del Lavoro. Nella fase di preparazione della vertenza verranno coinvolti anche l’Inps e l’Inail e l’Asl di competenza territoriale che si occuperanno di appurare le irregolarità di loro competenza.
L’Inail verrà infatti coinvolto per controllare che il datore di lavoro tuteli i diritti contributivi e previdenziali del prestatore d’opera. L’Asl interverrà invece nel caso in cui vengano denunciate irregolarità connesse a condizioni igienico sanitarie o alla sicurezza sul lavoro non a norma per i lavoratori.
Un altro modo per denunciare la propria condizione di lavoratore in nero è quello di rivolgersi alla Guardia di Finanza e sporgere denuncia. Va detto che la denuncia in anonimato non è possibile in quanto le autorità dovranno raccogliere i dati di chi segnala l’irregolarità. Tuttavia, l’identità del denunciante non verrà comunque rivelata all’azienda, tutelando così la propria posizione nei confronti del datore di lavoro.
Sanzioni per il datore di lavoro
Le sanzioni per il datore di lavoro che assume in nero sono indicate nel Decreto Semplificazioni (d.lgs. 151/2015) attuativo del Jobs Act. Il legislatore in questo caso ha usato il pugno duro per chi assume un dipendente senza regolare contratto, prevedendo sanzioni che possono arrivare fino a 36 mila euro.
L’importo della sanzione per il datore di lavoro varia a seconda dei giorni d’impiego del dipendente in nero:
- da 1.500 a 9.000 euro: per ogni lavoratore irregolare entro i 30 giorni di impiego effettivo;
- da 3.00€ a 18.00 euro: per ogni lavoratore irregolare con impiego effettivo compreso tra i 31 e i 60 giorni;
- da 6.000 a 36.000 euro: per ogni lavoratore irregolare con impiego effettivo superiore ai 60 giorni.
Inoltre, se l’impiegato è uno straniero senza permesso di soggiorno l’importo della sanzione è aumentato del 20%. Stessa maggiorazione prevista nei casi di impiego di minori in età non lavorativa, come pure per chi impiega un percettore di Reddito di cittadinanza (indipendentemente che si tratti del richiedente o di un componente del nucleo).
In soccorso del datore di lavoro c’è lo strumento della diffida obbligatoria con il quale è possibile mettersi a riparo dal pagamento della sanzione.
Questo prevede che il lavoratore venga regolarizzato entro un periodo di 120 giorni con contratto a tempo indeterminato, o determinato (non inferiore a tre mesi).
Una volta che il datore di lavoro dimostra l’avvenuta regolarizzazione del contratto incorrerà in una sanzione di misura minima.
Come calcolare il risarcimento
Dopo che viene effettuata la denuncia il lavoratore ha diritto a un risarcimento per tutto ciò che non è stato pagato in precedenza dal datore di lavoro. Secondo la Giurisprudenza il lavoro in nero infatti ha lo stesso valore del lavoro svolto da un regolare impiegato e per questo nel calcolo del risarcimento devono essere conteggiati:
- retribuzione mensile;
- T.f.r.;
- ferie non godute;
- tredicesima;
- quattordicesima (nei Ccnl che la prevedono);
- ore di lavoro straordinario non retribuite.
Nel conteggio del risarcimento non rientreranno invece permessi, eventuali scatti di anzianità e indennità. Sommando tutte queste voci insieme, tenendo conto del numero di giorni lavorati senza alcun tipo di contratto, si avrà modo di comprendere l’entità del rimborso spettante.
Il lavoratore avrà quindi diritto a ottenere un risarcimento di tutto ciò che non gli è stato concesso durante il periodo di lavoro in nero.
L’importo della retribuzione mensile sarà stabilito in base al Ccnl di riferimento e all’inquadramento che sarebbe dovuto spettare al lavoratore non regolarmente registrato. Sempre in base al Ccnl di riferimento si calcoleranno ferie, tredicesima e quattordicesima (qualora fosse prevista).
Sanzioni per il lavoratore
Il dipendente assunto in nero dal datore di lavoro è considerato la parte debole del rapporto e per questo non rischia alcuna sanzione se viene scoperto a lavorare in nero. Anzi, in questo modo il dipendente può sperare che il datore di lavoro, per evitare di dover pagare una nuova sanzione, decida di regolarizzare il suo contratto.
Ci sono dei casi, però, in cui anche il dipendente in nero è soggetto a sanzione: infatti, se un disoccupato viene scoperto a lavorare in nero viene subito segnalato alla Procura della Repubblica.
Le sanzioni, variano a seconda se il lavoratore percepisce oppure no la disoccupazione. Per essere più precisi, le multe per i lavoratori in nero che si trovano in stato di disoccupazione si riferiscono ai casi in cui:
- l’impiegato in nero che ha presentato all’INPS, o ad un centro per l’impiego, lo status di disoccupato (ma non percepisce alcuna indennità) commette il reato di Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (ex art 483 del Codice Penale) per il quale è prevista una sanzione della reclusione fino a 2 anni;
- l’impiegato in nero che percepisce l’indennità di disoccupazione, oppure che ha beneficiato di altri ammortizzatori sociali grazie al suo status di disoccupato rischia una contestazione per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art 316-ter del Codice Penale). In questo caso la reclusione va dai 6 mesi ai 4 anni, ma se la somma indebitamente percepita è inferiore a 4 mila euro si applica una sanzione amministrativa che va dai 5.164 ai 25.822 euro. La sanzione non può superare il triplo dell’importo del beneficio percepito.
Il decreto n. 4 del 2019 - convertito con modificazioni dalla legge n. 26 del 2019 - ha poi introdotto un’apposita fattispecie di reato di appropriazione indebita del Reddito di cittadinanza. Nel dettaglio, all’articolo 7 si legge che “chiunque al
fine di ottenere indebitamente il beneficio [...] omette informazioni dovute è punito con la reclusione da 2 a 6 anni”. E ancora, più specificatamente il secondo comma stabilisce che “l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari [...] è punita con la reclusione da 1 a 3 anni”.
Lavorare in nero e non dichiararlo così da poter cumulare stipendio e Reddito di cittadinanza costituisce quindi reato, sanzionato - a seconda che l’attività abbia avuto inizio prima della domanda o solamente durante il periodo di percezione - con la reclusione da un minimo di 1 anno a un massimo di 6 anni. A tutto ciò ovviamente si aggiunge l’obbligo di dover restituire quanto indebitamente percepito.
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1 commento
Gentile utente,
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Gaetano
Aprile 2015
Salve sono di Napoli ho lavorato in una casa di riposo villa azzurra a scisciano ho lavorato per due anni e mezzo senza messo a posto. E lì ci lavorano persone e infermieri e dottori non a posto a nero e l’ispettore del lavoro non fanno nulla