Nel 2025 ci sono ancora mestieri vietati a chi ha un tatuaggio? Il datore di lavoro può negarti l’assunzione solo per questo? Ecco cosa devi sapere.
Ormai avere un tatuaggio è molto comune e anzi si ha spesso l’impressione che le persone tatuate siano di più rispetto a quelle rimaste naturali da questo punto di vista. C’è chi non ama comunque questa forma di espressione, ma in generale non è da tempo vista come una scelta controcorrente e irriverente. Nonostante ciò, molte persone si trovano spesso a domandarsi quali conseguenze possano avere i tatuaggi sulla carriera. Chi ha dei tatuaggi o sta considerando di farsene si trova prima o poi a considerare i possibili lavori vietati e le eventuali ripercussioni sul futuro professionale.
Come si può notare nella vita quotidiana, però, nel 2025 la maggior parte degli sbocchi lavorativi è aperta anche a chi possiede dei tatuaggi. Non è più così raro trovare medici, insegnanti e avvocati tatuati, per quanto possa ancora sembrare insolito ai più tradizionalisti. Ciò però non significa che il lavoratore tatuato non debba mai andare incontro a possibili limitazioni, più o meno legittime. Scopriamo quindi cosa prevede la legge, quali sono i diritti dei lavoratori in tal senso e quando invece il tatuaggio può essere motivo di esclusione.
Mestieri vietati a chi ha tatuaggi
Contrariamente a ciò che potrebbe sembrare, non esiste nessuna legge che regoli i tatuaggi, il loro riflesso sulle posizioni lavorative o tanto meno dei divieti professionali. La legge nazionale, infatti, non prevede mestieri vietati a chi ha uno o più tatuaggi e lo stesso principio è condiviso dalla normativa europea.
L’unica eccezione è rappresentata dalle Forze armate. Per superare il concorso nella Polizia, nei Carabinieri o nell’Esercito, è infatti richiesto il rispetto di requisiti ben specifici, tra cui anche una precisa regolamentazione dei tatuaggi. Anche in questo caso non si tratta di un divieto assoluto, bensì ci sono dei limiti sulle aree del corpo che è possibile tatuare e sul soggetto dei disegni.
Il divieto in questione, peraltro, è evidentemente mosso da ragioni particolari che non possono trovare raffronti simili in nessun’altra occupazione. Oltre alla richiesta di un certo decoro, bisogna anche considerare che la visibilità dei tatuaggi potrebbe creare serie ripercussioni sulla carriera delle forze dell’ordine. La possibile offensività per altre nazioni e la facilità di riconoscimento sono tra i motivi principali che muovono il divieto.
Bisogna inoltre considerare che anche per quanto riguarda queste peculiari professioni ci sono stati recentemente cambiamenti considerevoli, proprio in ragione dell’elevato numero di persone tatuate. L’Esercito Italiano, per esempio, ha cominciato ad adottare criteri meno severi per i candidati tatuati. In linea generale, comunque, non si può entrare a far parte delle Forze armate e di polizia con tatuaggi visibili con la divisa. A seconda della Forza cambia il tipo di divisa e la regola da seguire dopo l’assunzione, con anche regole indicative sui tatuaggi ammessi, che non devono compromettere la rispettabilità e i principi della professione.
Per quanto riguarda qualsiasi altra professione, invece, non c’è nessuna normativa specifica. Non esistono, dunque, lavori vietati a chi ha un tatuaggio, anche se è ammessa una certa discrezionalità da parte dei datori di lavoro. Non bisogna quindi pensare che i tatuaggi debbano essere indifferenti alle aziende, che possono ancora prevedere politiche di immagine precise e chiedere un adeguamento comune a tutti i dipendenti. Naturalmente fanno eccezione le professioni religiose, con divieti che dipendono appunto dal credo e dalle politiche amministrative. Anche negli ambienti più conservatori, tuttavia, stiamo assistendo a una trasformazione, soprattutto da quando Papa Francesco ha invitato a non fermarsi all’apparenza e a non giudicare le persone dai tatuaggi.
È legale non assumere un candidato perché tatuato?
Quando si fa riferimento ai criteri di scelta dei datori di lavoro è facile inglobare qualsiasi elemento diverso da quelli prettamente professionali nella discriminazione. In realtà, si può parlare di discriminazione propriamente soltanto quando ci si riferisce a specifici aspetti dell’essere umano tutelati dalla legge. Per lo più si tratta del genere, della religione, dell’etnia e della disabilità.
Il diritto di avere dei tatuaggi rientra certamente nella libertà individuale, ma non gode di particolari tutele legali. Si tratta di un elemento non solo del tutto decisionale, ma anche non inerente a minoranze o lesioni del diritto stesso. Ne consegue che il datore di lavoro è libero di non assumere un candidato con tatuaggi, oppure prevedere un codice di abbigliamento per cui debbano essere coperti.
Nulla di nuovo, è noto che in diversi ambienti lavorativi ci sono tipologie di vestiario e aspetto ben precise da rispettare secondo le politiche aziendali. I datori di lavoro, peraltro, possono anche vietare esplicitamente i tatuaggi o limitarli nel regolamento dell’azienda. Soltanto in quest’ultimo caso, poi, è ammissibile il licenziamento del lavoratore perché tatuato.
I regolamenti interni, ma anche le contrattazioni collettive, possono vietare di mostrare eventuali tatuaggi ai clienti. Ciò si concretizza in un divieto automatico per i tatuaggi nelle parti del corpo visibili da quasi ogni divisa, quindi volto, testa e mani.
La questione è diversa quando il datore di lavoro è rappresentato dall’azienda pubblica, che assume tramite concorso e pertanto dovrebbe inserire in modo specifico il requisito sull’assenza dei tatuaggi per poter rifiutare un candidato con questo pretesto.
In linea generale, i tatuaggi non sono considerati dalla giurisprudenza come passibili di discriminazione, anche se la questione può essere sottoposta al tribunale nel caso specifico se sono presenti particolarità. Un tatuaggio con valenza religiosa, per esempio, può essere facilmente considerato passibile di discriminazione. Si pensi, per citarne uno, al Mehndi indiano che, anche se non permanente, si mostra visivamente come un tatuaggio ma ha valore culturale e religioso.
Nel complesso, quindi, i tatuaggi non sono motivo automatico di esclusione ma potrebbero contrastare con la politica aziendale sull’immagine dei dipendenti. I divieti in questo senso devono però essere giusti, applicati a tutti i lavoratori a contatto con il pubblico e ragionevoli. Per esempio, potrebbe essere rifiutato legittimamente un maestro della scuola di infanzia con tatuaggi dal contenuto inadatto per i bambini. O ancora, i tatuaggi più appariscenti compromettono la carriere di hostess e steward, cui è generalmente richiesto un rigore formale anche nella cura dell’aspetto.
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