Il requisito della pregressa residenza fiscale all’estero in alcuni casi deve essere verificato per i 7 anni antecedenti al trasferimento in Italia
Con due differenti risposte, la n°263 e la n°264, l’Agenzia delle entrate si è soffermata sul nuovo regime impatriati di cui all’art.5 del D.Lgs n°209/2023 che ha mandato in pensione la vecchia detassazione riservata a chi trasferisce la propria residenza fiscale in Italia che era molto più conveniente.
L’intervento dell’Agenzia delle entrate ha riguardato la verifica della pregressa residenza fiscale all’estero quale requisito fondamentale per sfruttare il regime di favore; requisito che deve essere sussistente per almeno tre anni e in alcuni casi può estendersi fino a 7 periodi d’imposta di residenza fiscale all’estero prima del trasferimento in Italia.
Vediamo nello specifico quali sono stati i chiarimenti dell’Agenzia delle entrate pubblicati in data 13 ottobre.
Il regime fiscale riservato ai lavoratori impatriati
Prima di entrare nello specifico delle situazioni analizzate dall’Agenzia delle entrate, è utile riprender le principali peculiarità del nuovo regime impatriati.
Nuovo regime che rispetto al precedente reintroduce il requisito dell’elevata specializzazione, restringe l’ambito soggettivo nonché riduce il vantaggio fiscale riservato al lavoratore.
Come riportato sul portale dell’Agenzia delle entrate, il nuovo regime impatriati prevede che i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni prodotti in Italia entro il limite annuo di 600.000 euro concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del loro ammontare.
Dunque già cogliamo una prima differenza rispetto al vecchio regime. Infatti il nuovo risparmio fiscale non riguarda chi produce redditi d’impresa.
A ogni modo, lo sconto fiscale che dura 5 anni opera al ricorrere delle seguenti condizioni:
- i lavoratori si impegnano a risiedere fiscalmente in Italia per almeno quattro anni
- i lavoratori non sono stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il loro trasferimento
- l’attività lavorativa è prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato
- i lavoratori sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione indicati dal decreto legislativo n. 108/2012 e dal decreto legislativo n. 206/2007.
Sul requisito della pregressa residenza fiscale all’estero, è da tenere bene a mente che il periodo minimo di 3 anni può salire a 6 o 7 anni se il lavoratore presta l’attività lavorativa in Italia per lo stesso soggetto presso il quale è stato impiegato all’estero prima del trasferimento, oppure per un soggetto appartenente al suo stesso gruppo.
In particolare, sono necessari:
- sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
- sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo
Si considerano appartenenti allo stesso gruppo: i soggetti tra i quali sussiste un rapporto di controllo diretto o indiretto e i soggetti che sono sottoposti al comune controllo diretto o indiretto da parte di un altro soggetto.
Queste precisazioni ci torneranno utili da qui in avanti per meglio capire le risposte date dall’Agenzia delle entrate.
C’è comunque chi ancora può sfruttare il vecchio regime fiscale 5+5.
La risposta n°263/2025. Svolgimento di più attività e verifica pregressa residenza all’estero
Il primo caso analizzato riguarda un lavoratore che ha trasferito la propria residenza fiscale all’estero nel 2023 proseguendo però la propria collaborazione con un’Università italiana.
Nel 2026, quindi dopo soli tre anni (vedi 1° pr.) vorrebbe trasferire la propria residenza fiscale in Italia:
- iniziando un nuovo lavoro presso un datore di lavoro con il quale non ha già lavorato;
- continuando la propria collaborazione con l’Università italiana.
Da qui ha chiesto di sapere se possa sfruttare o meno il nuovo regime fiscale per i lavoratori impatriati.
Ebbene, secondo l’Agenzia delle entrate considerati i soli tre anni di pregressa residenza all’estero,
- potrà fruire, nel rispetto delle ulteriori condizioni previste, del ’’nuovo regime’’
- con esclusivo riferimento al reddito derivante dall’attività che intende svolgere alle dipendenze di una società per la quale non ha svolto attività lavorativa all’estero.
Al contrario, considerato che sarebbero necessari 7 anni di pregressa residenza all’estero, non potrà, invece, applicare la detassazione al reddito derivante dalla collaborazione con l’università; infatti in questo caso si tratterebbe di un’attività svolta per lo stesso datore di lavoro per cui aveva lavorato quando era residente all’estero e per il quale aveva lavorato in Italia prima dell’espatrio (vedi 1° pr.).
La risposta n°264/2025. Quando si applica la presunzione di residenza fiscale in Italia
Con la riposta n°264 invece è stata analizzata la possibilità di applicare la detassazione ai dipendenti della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, BERS.
La risposta è positiva in quanto la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, BERS, non risulta inclusa nell’elenco delle istituzioni e degli organi dell’UE. Per tale motivo, ai propri dipendenti non si applicano le disposizioni contenute nell’art. 13 del Protocollo n. 7 sui Privilegi e sulle Immunità dell’Unione Europea. Ciò consente di disapplicare la presunzione di residenza fiscale in Italia, consentendo di rispettare il requisito della pregressa residenza fiscale all’estero per applicare il regime fiscale agevolato.
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