La nuova globalizzazione incentiva gli investimenti nazionali: meno capitali all’estero, più stimoli interni e ritorno strategico all’economia del proprio Paese.
La politica economica globale sembra muoversi in un’inedita direzione, e paradossalmente, parte del merito va a Donald Trump. L’ex presidente USA, con la sua agenda commerciale imprevedibile, ha innescato una catena di eventi che ora alimenta un rinnovato home bias negli investimenti: un ritorno alla valorizzazione dell’economia nazionale da parte degli stessi risparmiatori domestici.
A sei mesi dall’inizio dell’anno, gli analisti finanziari cercano di interpretare il caos per delineare i nuovi equilibri globali. Un esempio emblematico è quello di Larry Fink, CEO di BlackRock, che parla di una “seconda bozza della globalizzazione”, un modello intermedio tra il laissez-faire economico e il nazionalismo protezionista. Fink immagina un mondo dove i mercati restano aperti, ma con un forte incentivo a far rientrare i capitali per finanziare la crescita interna. In parole sue: “Le persone alimenteranno la crescita del proprio Paese e ne possederanno una parte.”
Il progetto di Trump di re-industrializzazione dell’America – tra dazi, incentivi bilaterali e un minore deficit commerciale – è un’estensione di questa visione. L’obiettivo politico è creare nuovi posti di lavoro nell’industria manifatturiera, anche a costo di sacrificare parte dell’attrattiva degli asset finanziari USA per gli investitori esteri. [...]
Accedi ai contenuti riservati
Navighi con pubblicità ridotta
Ottieni sconti su prodotti e servizi
Disdici quando vuoi
Sei già iscritto? Clicca qui
© RIPRODUZIONE RISERVATA