Italia: il ritorno alla Lira potrebbe essere una buona idea?

Gabriele Gallivanoni

13 Agosto 2019 - 13:10

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Italia: tornare alla Lira converrebbe oppure no? L’analisi

Italia: il ritorno alla Lira potrebbe essere una buona idea?

Sul finire della scorsa settimana si è aperta una crisi di governo che ha reso ancor più incerto il futuro dell’Italia: nessuno sa dove trovare i 23 miliardi per scongiurare l’aumento dell’IVA (che avrebbe certamente effetti recessivi sulla nostra economia), tanto meno quelli per una eventuale riduzione delle tasse o del cuneo fiscale.

Per la verità nessuno sa neppure chi e quando farà la prossima legge finanziaria, che andrebbe presentata in Europa entro metà Ottobre. Una situazione di grave incertezza che ha effetti nefasti sullo spread BTP-Bund, nei giorni scorsi risalito anche oltre i 230 punti, un livello che non si vedeva da mesi.

E chissà quanto si pagherà ora di interessi sul nostro debito.

Italia vs. USA: un confronto paradossale

Per capirlo mettiamo a confronto i nostri con quelli della prima potenza economica (dati del 9 agosto). Italia vs USA a 2, 5 e 10 anni: 0,30 vs 1,61; 1,13 vs 1,53; 1,80 vs 1,71. Cioè a 2 anni siamo 130 punti sotto, a 5 anni 40 punti, a 10 anni 10 punti sopra.

Una situazione apparentemente paradossale se consideriamo che stiamo confrontando la nostra economia a rischio recessione e con un rapporto debito/PIL al 132%, contro una che crescerà al 3% circa e con un rapporto col debito di oltre il 20% inferiore al nostro.

Almeno due sono i principali motivi di questa situazione: il costo del denaro USA più alto, il 2% contro lo 0% (nonostante il recente taglio di 25 punti della FED) e la politica molto accomodante della BCE (attirando l’ira del presidente americano).

Infatti da quando la la Banca centrale Europea ha deciso di comprare il debito degli Stati, gli interessi sono diventati bassissimi, molto più bassi sia rispetto al passato sia a quello che pagano oggi i paesi extra-UE. Se avessimo i rendimenti degli USA (in media circa 50 punti in più) a regime, fra circa un dececnnio, pagheremmo 10-12 miliardi di € in più all’anno di interessi.

Ma cosa accadrebbe se volessimo uscire dall’UE ritornare alla nostra moneta nazionale, la Lira?

Ritorno alla lira: sì o no?

Torniamo ad una ventina di anni fa, siamo alla fine degli anni ’90, appena dopo la caduta del muro di Berlino, il simbolo della vittoria del capitalismo sul comunismo. L’Italia cresceva al 1,5-3%, così come l’inflazione, il che portava la crescita nominale del PIL al 3-6%. Il deficit, cresciuto moltissimo negli anni precedenti, era inferiore al 3%, il che portava ad una diminuzione del rapporto deficit/PIL dal 120 al 108%.

Una situazione ottimale, che oggi neanche ci sogniamo. Ma allora com’erano messi con gli interessi sul debito? Il decennale viaggiava tra il 4 e il 6%, circa il 3% in più di oggi. A regime, dopo una decina d’anni, col debito attuale (superiore ai 2300 miliardi di €) vorrebbe dire 60-70 miliardi in più all’anno, un conto che appare difficilmente sostenibile.

Ma con la svalutazione della Lira, che renderebbe più convenienti i nostri prodotti, non si potrebbe tornare alla stessa crescita (2-3% annuo)? Certamente una svalutazione della moneta nazionale potrebbe favorire, oggi come allora, una maggiore competitività rispetto all’industria manifatturiera tedesca e dei paesi dell’Europa centro-settentrionale.

Ma a partire dal 2004, con l’entrata nell’UE dei paesi dell’Europa dell’Est, proprio il nostro cavallo di battaglia (il manifatturiero) sta sempre più spostando il suo sviluppo verso quei paesi che, rispetto al nostro, hanno un costo del lavoro molto più basso (3-5 volte meno).

Neanche un’importante svalutazione della moneta nazionale del 30% (che potrebbe portare a spiacevoli effetti collaterali sulla società, come un probabile aumento del tasso di povertà) sembra capace di renderci pienamente concorrenziali nei confronti di questi paesi. Figuriamoci con chi ha un costo del lavoro una decina di volte inferiore al nostro, come i paesi del Sud-Est asiatico, che, grazie alla globalizzazione, sempre più diventano il luogo di origine dei nostri beni di consumo.

Riassumendo, se si scegliesse di uscire dalla zona euro e di istituire una moneta nazionale, a fronte di un modesto aumento della crescita (forse l’1% in più all’anno, siamo ottimisti), si rischia di esporsi alla speculazione internazionale, con un aumento maggiore (2-3%) del conto da pagare sugli interessi. Perché il mondo di oggi non è più quello di vent’anni fa e la freccia del tempo ha una sola direzione: va sempre avanti.

Certo, l’UE appare come un’unità imperfetta e del tutto incompleta, senza un’unione politica, incapace di trasferire i fondi verso le zone che avrebbero bisogno di un maggiore sviluppo (suggerisco di leggere l’ottimo articolo di Cesarotto, pubblicato qualche settimana fa, sui difetti dell’UE).

Per avere un quadro più completo sulle conseguenze di un’eventuale uscita dall’Eurozona, bisognerebbe poi considerare altri 2 aspetti. I circa €400 miliardi che la BCE ha utilizzato per comprare il nostro debito (QE) (e che forse dovremmo restituirgli, a rate ovviamente). E i 250 miliardi di debito che le nostre banche hanno maturato con l’adesione al prestito europeo Tltro.

Stabilite voi, in base a tutti gli elementi in vostro possesso, se l’uscita dell’Italia dall’euro possa essere una buona idea per il nostro futuro.

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