“Italia in guerra contro gli Houthi è quasi una certezza”. Intervista all’ex ambasciatore Marco Carnelos

Alessandro Cipolla

24/01/2024

24/01/2024 - 10:32

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Per l’ex ambasciatore in Iraq Marco Carnelos una guerra tra Italia e Houthi non è un rischio ma quasi una certezza: tutto dipenderà dalle regole di ingaggio della missione Aspides.

“Italia in guerra contro gli Houthi è quasi una certezza”. Intervista all’ex ambasciatore Marco Carnelos

Il rischio di una guerra tra l’Italia e i ribelli yemeniti Houthi, quello di un conflitto regionale o addirittura mondiale in Medio Oriente, fino al caos nel Mar Rosso e ai possibili scenari del conflitto tra Israele e Hamas.

In un momento geopolitico così delicato - senza dimenticare la guerra tra Ucraina e Russia in corso da quasi due anni - Money.it ha intervistato Marco Carnelos, ex ambasciatore in Iraq e prima inviato speciale del governo italiano per il processo di pace in Medio Oriente e la crisi in Siria.

Senza dubbio l’ex ambasciatore Carnelos è uno dei più profondi conoscitori delle complesse dinamiche in Medio Oriente, con la situazione attuale che per lui assomiglierebbe molto a quella che nell’estate 1914 ha portato poi allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Alla luce dei recenti fatti, quanto è alto il rischio in Medio Oriente di una guerra regionale o addirittura mondiale?

Il rischio di una guerra regionale è molto più ampio rispetto al passato anche perché è la prima volta che un conflitto tra Israele e Gaza innesca una tensione regionale così alta. In precedenti occasioni, nel 2008-2009 e nel 2014, gli attacchi israeliani su Gaza non avevano creato conseguenze così gravi in termini di perdite e distruzioni. In questa, invece, la palese sproporzione tra l’attacco terroristico di Hamas e la rappresaglia israeliana sta incendiando la regione e, per la prima volta, il traffico navale nel Mar Rosso è a rischio mettendo a repentaglio le catene di valore e il sistema di approvvigionamenti globali. Abbiamo inoltre incursioni israeliane in Libano e Siria e risposte che interessano i dispositivi militari e di intelligence americani e israeliani sia in Siria che in Iraq. Il rischio di guerra mondiale è direttamente proporzionale a quanto la guerra regionale in Medio Oriente si allargherà. Mai come in questo momento lo scacchiere globale assomiglia all’estate del 1914. Nessuno afferma di volere un conflitto allargato ma tutti agiscono – come sonnambuli – con modalità che aumentano le chances di questa catastrofica eventualità. Un secolo fa sappiamo poi come è andata a finire.

L’Italia farà parte della missione Aspides nel Mar Rosso, rischiamo di ritrovarci in guerra contro gli Houthi?

Non è un rischio è quasi una certezza. Dal momento che abbiamo deciso di inviare unità navali nel Mar Rosso è ovvio che potremmo trovarci a combattere contro gli Houthis. Resta tuttavia da vedere quali regole di ingaggio verranno affidate alle unità navali Ue nel Mar Rosso, ovvero se di difesa passiva (ovvero proteggere i natanti dai
missili e droni degli Houthis) attiva (cioè bombardare le postazioni di lancio Houthis in territorio yemenita). È una bella differenza.

La crisi nel Mar Rosso può provocare gravi danni economici all’Italia. Il nostro governo si sta muovendo bene a riguardo?

Per un paese come il nostro in cui il commercio internazionale è parte rilevante del nostro PIL i danni sono scontati. Occorrerà vedere se e come verranno contenuti. Naturalmente l’aumento dei noli marittimi e dei costi assicurativi nonché l’allungamento delle rotte navali (circumnavigazione dell’Africa) avranno dei riflessi sui prezzi delle merci. È plausibile una recrudescenza inflazionistica che non verrà avvertita subito ma tra qualche mese, e con essa forse anche un ripensamento sull’annunciato ribasso dei tassi di interesse con tutte le conseguenze sull’economia facilmente immaginabili. L’inflazione, del resto, aveva avuto una fiammata già alla fine dell’anno scorso, ancora prima che la crisi del Mar Rosso si manifestasse. Quanto al Governo direi che ha fatto bene a sfilarsi dalla Missione Prosperity Guardian a guida Usa tenuto conto di quanto a Washington abbiano il grilletto facile, ma ripeto occorrerà capire bene le regole di ingaggio Ue. Naturalmente sia a Washington che Bruxelles non hanno capito - o fingono di non capirlo - che l’unico modo per disinnescare la crisi nel Mar Rosso è costringere i due contendenti al cessate il fuoco, in particolare Israele. Ma per ottenere questi risultati occorre smettere di essere conniventi e sfoderare attributi particolari che in questo momento non sembrano costituire un patrimonio delle cancellerie occidentali.

Benjamin Netanyahu di recente ha smentito platealmente Joe Biden sull’ipotesi di uno Stato indipendente palestinese. Si tratta di debolezza dell’attuale amministrazione americana oppure Israele e Usa stanno giocando a poliziotto buono e poliziotto cattivo?

Secondo me vi sono tre spiegazioni che paradossalmente sono tutte e tre valide allo stesso momento. Netanyahu se ne infischia degli Usa perché sa perfettamente che esiste una debolezza di questa Amministrazione americana e perché sa anche che – allo stesso tempo – l’Amministrazione Biden è anche connivente con Israele. Washington sta inviando a Gerusalemme segnali sbagliati e poco chiari. Pertanto, la capillare campagna stampa che emana da organi di stampa Usa e Israeliani e che riferisce di tensioni tra Washington e Gerusalemme è solo un gioco concordato delle parti, per dare più tempo a Israele di raggiungere i propri risultati militari illudendo gli altri attori internazionali. Poliziotto buono e poliziotto cattivo è un’ottima descrizione.

In Iraq, dove è stato ambasciatore e che conosce molto bene, è in atto una sorta di guerra per procura tra Iran e l’asse Usa-Israele?

In effetti è una piccola guerra per procura. Per ora siamo alle punture di spillo, ma come sempre accade in questi casi la miscalculation è sempre dietro l’angolo, soprattutto perché sembra che l’Iran stia abbandonando la cosiddetta “pazienza strategica” adottata per anni. L’attacco contro la base del Mossad ad Erbil nel Kurdistan iracheno è un primo segnale. Mi auguro solo che le rispettive intelligences sul terreno abbiano concordato delle regole di ingaggio e soprattutto di de-escalation.

Un po’ come in Ucraina al momento non si capisce come si possa arrivare a una soluzione diplomatica in Terra Santa. Quale potrebbe essere l’epilogo della guerra tra Israele e Hamas?

A Gaza potrebbero profilarsi tre epiloghi. Il primo è un cessate il fuoco più o meno imposto o autoimposto da Israele e poi tutto tornerebbe lentamente, ma molto lentamente, come prima e tutti si dimenticheranno di tutto, tranne poi ritrovarci tra qualche anno con un nuovo 7 ottobre. Il secondo è un conflitto latente che si protrarrebbe per mesi o anni con la presenza permanente di truppe israeliane in alcune aree di Gaza. Non dimentichiamoci che dopo essersi ritirato dal Libano nel 1982-83, Israele ha continuato a occupare un fascio di territorio nel sud del paese per 18 anni, fino a quando nel 2000 venne costretto al ritiro sotto i colpi incalzanti di Hezbollah. Il terzo è un’ulteriore intensificazione delle operazioni con l’obiettivo (che è sempre stato quello ricercato da questo Governo israeliano) di costringere per disperazione i Palestinesi a spostarsi nella penisola del Sinai prospettando – con l’aiuto USA – “un’offerta che l’Egitto non potrà rifiutare”. Quanto alla soluzione diplomatica rinvio al Primo Canto dell’Inferno nella Divina Commedia….abbandonate ogni speranza o voi…

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