Sempre più Paesi europei puntano sul nucleare per ridurre le emissioni e garantire sicurezza energetica. Ma non tutti sono d’accordo: Germania e Spagna restano ferme sul no: ecco perché.
Buona parte dell’Europa vuole tornare al nucleare per diminuire le emissioni di CO₂ e soprattutto ridurre la dipendenza dai combustibili fossili.
La guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica e il cambiamento climatico stanno spingendo molti Paesi europei a riconsiderare una fonte che fino a pochi anni fa sembrava definitivamente accantonata: l’energia nucleare.
Dopo il grave incidente di Chernobyl, sono stati numerosi i gli impianti che sono stati chiusi in Europa, eppure oggi l’energia data dalle reazioni nucleari è tornata centrale nel dibattito politico e industriale: Italia, Belgio, Polonia e Svezia stanno seriamente pensando di tornare all’atomo, seguendo l’esempio della Francia.
Sembra che in molti stiano considerando il fatto che le energie rinnovabili, pur essenziali, da sole non bastano a garantire stabilità alla rete elettrica e continuità nella fornitura. Inoltre, il nucleare è oggi visto come una fonte a basse emissioni, capace di affiancare e sostenere la transizione senza dover dipendere da gas e carbone, soprattutto quelli importati da paesi come la Russia.
Eppure, non tutti i Paesi europei sembrano essere disposti a tornare “indietro”, rimanendo ancorati al petrolio come alternativa per stabilizzare la rete elettrica insieme alle energie rinnovabili, come Spagna e Germania. Ma perché gran parte dell’Europa vuole tornare al nucleare e Madrid e Berlino no? Scopriamo insieme le ragioni dei due “blocchi”.
Perché Italia, Belgio, Polonia e Svezia vogliono tornare al nucleare
In un’Europa alla ricerca di indipendenza energetica e decarbonizzazione, il nucleare è tornato ad avere un ruolo strategico. L’Italia, dopo aver detto addio all’atomo con il referendum del 1987, ha riaperto il dibattito: il governo di Giorgia Meloni sostiene che il nucleare di nuova generazione sia indispensabile per ridurre le bollette, rafforzare la sicurezza energetica e raggiungere gli obiettivi climatici. A febbraio 2024, il ministro dell’Energia Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato un percorso legislativo per reintrodurre questa fonte, con tempi stimati di almeno dieci anni.
Anche il Belgio ha compiuto un’inversione di rotta. Sebbene nel 2003 avesse votato per l’uscita dal nucleare entro il 2025, il governo ha recentemente abrogato quella legge, aprendo alla possibilità di costruire nuovi reattori e prorogare quelli esistenti fino al 2035. La decisione è motivata dalla crisi energetica scatenata dalla guerra in Ucraina e dal calo delle forniture di gas russo.
La Polonia, dipendente dal carbone (con oltre il 60% del suo mix energetico), ha deciso di investire nel nucleare per ridurre le emissioni e garantire continuità produttiva. Varsavia ha in programma tre centrali, ciascuna con tre reattori, e la prima entrerà in funzione nel 2033. Infine, la Svezia, che ha una lunga tradizione nell’uso dell’energia atomica, ha annunciato la costruzione di nuovi impianti per raggiungere gli obiettivi climatici e garantire una rete stabile.
Buona parte dell’Europa, quindi, sembra disposta a tornare al nucleare soprattutto per una questione geopolitica: liberarsi dalla dipendenza del gas e petrolio russo e di Paesi extra-europei come gli Stati Uniti.
Perché Germania e Spagna sono contrarie al nucleare
Nonostante la crescente pressione internazionale e le scelte di molti vicini europei, Germania e Spagna restano ferme nel loro rifiuto del nucleare. La Germania, dopo l’incidente di Fukushima nel 2011, ha accelerato il piano di uscita dall’atomo avviato nei primi anni 2000, chiudendo i suoi ultimi tre reattori nel 2023. La decisione, fortemente voluta da Angela Merkel, continua a influenzare il dibattito interno. Tuttavia, cresce l’opposizione: il cancelliere Friedrich Merz ha definito la chiusura una “decisione fatale”, denunciando la dipendenza energetica dalla Francia e l’aumento dei costi per famiglie e imprese.
La Spagna, invece, è l’unico Paese a confermare con fermezza la chiusura dei suoi impianti nucleari entro il 2035. Il governo Sanchez ha ribadito il piano nazionale energia e clima (PNIEC), che prevede lo spegnimento graduale di tutte le centrali ancora operative. Attualmente il nucleare copre il 20% del mix elettrico spagnolo, ma l’esecutivo intende sostituirlo con sole rinnovabili, una scelta ammirevole, dato che non è presa in considerazione la scelta di aumentare i combustibili fossili.
Tuttavia, l’industria spagnola chiede di rivedere il calendario delle chiusure, temendo un nuovo blackout e costi elevati. Ma per ora, Madrid resiste. In ogni caso bisogna tener presente che i nuovi impianti energetici non sono come quelli che portarono al disastro di Chernobyl e Fukushima, prevedono sistemi di sicurezza avanzati. Detto ciò ogni Paese dovrà valutare bene questa scelta, perché la riapertura o costruzione di nuovi impianti avrà un costo non indifferente.
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