Intel, il governo USA si prende il 10% del capitale. Tutti i rischi dell’operazione

Giorgia Paccione

26 Agosto 2025 - 16:44

Con un investimento da 8,9 miliardi di dollari Washington entra in Intel. Opportunità per l’industria dei chip ma anche timori su governance, mercati esteri e rapporti politici.

Intel, il governo USA si prende il 10% del capitale. Tutti i rischi dell’operazione

L’amministrazione Trump ha annunciato l’acquisizione di una partecipazione del 9,9% in Intel per circa 8,9 miliardi di dollari, convertendo sovvenzioni del Chips Act e fondi del programma Secure Enclave in equity dell’azienda.

Pur senza diritti di governance, l’operazione rende potenzialmente lo Stato federale il maggiore azionista della società.

Nel documento ufficiale depositato presso la Securities and Exchange Commission, Intel avverte che questa manovra potrebbe portare rischi significativi tra cui diluizione delle partecipazioni private, impatto sulle vendite internazionali e difficoltà nell’ottenimento di futuri finanziamenti pubblici.

Ecco le possibili conseguenze nel dettaglio.

Rischi finanziari e di governance

Intel chiarisce che l’emissione di azioni a favore del governo avverrà a un prezzo scontato rispetto al valore di mercato, con un impatto diretto sulla partecipazione degli azionisti esistenti. Lo Stato, pur divenendo azionista importante, manterrà una partecipazione “passiva”, senza diritto di voto o presenza in consiglio.

In più, l’accordo include un warrant quinquennale che consente al governo di acquistare un ulteriore 5% delle azioni a un prezzo definito di circa 20 dollari per azione, qualora Intel stacchi la sua divisione fonderie, complicando ogni piano di scorporo.

Impatto internazionale su vendite e reputazione

Intel genera circa il 76% del suo ricavo dai mercati esteri e il 29% solo dalla Cina. La presenza dello Stato americano come azionista di riferimento potrebbe scoraggiare clienti e partner esteri, sollevando timori su possibili restrizioni normative o reticenze nei finanziamenti esteri.

Anche la reputazione di Intel può risentirne, con la possibilità di reazioni negative da stakeholder, governi stranieri, dipendenti o concorrenti.

Incertezze normative e pressioni indebite

Va aggiunto che l’operazione si colloca in un contesto politico teso: Trump aveva precedentemente sollecitato le dimissioni del CEO Lip-Bu Tan a causa dei suoi legami con aziende cinesi, condizione che ha preceduto la firma dell’accordo. Lo stesso Tan ha dichiarato:

“Non ho bisogno della sovvenzione. Ma non vedo l’ora che il governo USA diventi mio azionista”.

L’accordo solleva forti critiche anche da parte di osservatori economici. Il Cato Institute, ad esempio, avverte che la presenza statale può politicizzare le decisioni aziendali e snaturare la governance, allontanando principi del libero mercato.

Inoltre, il piano crea incertezze sul fronte regolatorio: non è chiaro se e come futuri fondi pubblici verranno concessi, o se altri enti governativi potranno pretendere condizioni simili per accordi futuri.

Politica industriale USA e potenziali benefici

L’ingresso dello Stato USA in Intel rappresenta una svolta storica nella politica industriale americana, che abbatte il tradizionale muro tra pubblico e privato nel settore tecnologico. Tuttavia, la transizione da sovvenzioni a partecipazioni azionarie porta con sé numerosi interrogativi: se da un lato l’iniezione di capitale serve a rilanciare la produzione nazionale di chip, dall’altro il cammino di Intel potrebbe diventare più tortuoso e vincolato alle dinamiche politiche americane.

D’altro canto, l’azienda potrà contare su risorse necessarie a investire nei suoi mega-impianti negli Stati Uniti (tra cui Arizona, Ohio e New Mexico) e competere con giganti come TSMC e Samsung. Altri leader del settore, come Microsoft, Dell e AWS, hanno sostenuto il potenziamento della manifattura nazionale. L’investimento potrebbe quindi rilanciare il ruolo autoctono dell’azienda e contribuire alla sicurezza delle filiere critiche.

Iscriviti a Money.it