La crisi dell’Ilva e la mancanza di una strategia industriale minacciano il futuro dell’acciaio italiano, tra costi energetici in crescita e rischio di cessione della sovranità produttiva.
Il futuro dell’Ilva resta un rebus e oggi più che mai abbiamo contezza del rischio che la desertificazione industriale travolga l’acciaio italiano.
Lo avevamo scritto in tempi non sospetti, a gennaio 2024: c’era il rischio di una Spoon River industriale per il polo siderurgico tarantino e per gli impianti gestiti da Acciaierie d’Italia nel resto del Paese, primo fra tutti quello di Genova. Saltata la trattativa con gli azeri di Baku Steel, che hanno perso interesse per l’acquisto dell’Ilva, ora il percorso verso il futuro è una corsa a fari spenti.
Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, nella giornata di martedì 21 ottobre lo ha definito "il dossier più difficile, critico e sfidante, che abbiamo ereditato e che stiamo cercando di portare a compimento”. Ma il governo Meloni rischia di inserirsi nell’elenco degli esecutivi che nell’ultimo quindicennio non hanno saputo dipanare il bandolo della matassa dell’ex Finsider. [...]
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