Non ci sarà nessun piano del governo per salvare l’ex Ilva. 6.000 lavoratori in cassa integrazione

Giorgia Paccione

12 Novembre 2025 - 09:53

Dal 15 novembre scatterà la cassa integrazione per 5.700 dipendenti dello stabilimento di Taranto, che saliranno a 6.000 da gennaio. I sindacati: “È un piano di chiusura, lo contrasteremo”.

Non ci sarà nessun piano del governo per salvare l’ex Ilva. 6.000 lavoratori in cassa integrazione

Salta definitivamente il tavolo tra governo e sindacati sull’ex “Ilva”. Dopo quasi quattro ore di confronto a Palazzo Chigi, la riunione si è chiusa con una rottura totale. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha confermato che dal 15 novembre scatterà la cassa integrazione straordinaria per 5.700 lavoratori del polo siderurgico di Taranto, che diventeranno 6.000 a partire da gennaio 2026.

Una misura che, secondo il governo, sarebbe giustificata dal fermo delle cokerie necessario per i lavori di decarbonizzazione, ma che i sindacati leggono come il preludio a una chiusura definitiva dello stabilimento. Attualmente, i dipendenti effettivi sono 7.938, di cui oltre 5.300 operai. Con l’estensione della CIGS, più dei due terzi della forza lavoro sarà di fatto sospesa.

Il governo, in una nota serale, ha espresso “rammarico per il fatto che la proposta di proseguire il confronto non sia stata accettata dalle organizzazioni sindacali”, confermando tuttavia la disponibilità a mantenere aperto un “approfondimento tecnico” sulle questioni più controverse.

Sindacati uniti contro il governo: “È un piano di chiusura, non di rilancio”

Le reazioni delle organizzazioni dei metalmeccanici sono state durissime. Michele De Palma, segretario generale della Fiom Cgil, ha accusato l’esecutivo di aver “presentato di fatto un piano di chiusura. Ci sono migliaia di lavoratori che finiscono in cassa integrazione e nessun sostegno finanziario al rilancio e alla decarbonizzazione”.

Sulla stessa linea Rocco Palombella, segretario generale della Uilm: “Hanno parlato di un piano “corto”, perché il tempo che rimane prima della chiusura è molto breve. È un piano inaccettabile che parte dal presupposto di portare alla chiusura dell’ex Ilva. E noi non vogliamo essere complici di questo disastro”. Anche la Fim-Cisl parla di “situazione drammatica”, denunciando come il governo stia “facendo cassa sui lavoratori” e come non esista più un vero piano industriale o un percorso di rilancio credibile.

I sindacati, riuniti in un fronte unitario Fim-Fiom-Uilm, hanno annunciato che incontreranno i lavoratori di Taranto per decidere insieme le prossime iniziative di protesta e mobilitazione. “Lo contrasteremo con tutti gli strumenti possibili”, ha ribadito De Palma.

Il governo si difende, ma pesa il vuoto industriale

Da parte sua, il ministro Urso ha spiegato che la misura è “temporanea” e legata alla rimodulazione delle attività industriali per consentire l’avvio dei lavori di decarbonizzazione. Tuttavia, dietro questa giustificazione tecnica si cela una realtà più complessa: non esiste, al momento, un piano industriale condiviso né un impegno finanziario certo per rilanciare la produzione dell’acciaio a Taranto.

A complicare ulteriormente il quadro, la questione della proprietà. Durante il tavolo è emerso che sarebbero quattro i soggetti interessati all’acquisto del gruppo siderurgico: tra questi, Baku Steel, i fondi Flacks Group e Bedrock, e un quarto investitore “coperto da riserbo”. Ma le trattative, almeno ufficialmente, non sono ancora consolidate.

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