Un tasso di risparmio record e borse poco redditizie frenano la crescita interna. Pechino tenta riforme, ma la sfida è riconciliare finanziamento statale e tutela degli investitori.
La Cina è oggi una delle economie più dinamiche e al contempo più contraddittorie. Da un lato, è il motore manifatturiero globale e il principale rivale tecnologico degli Stati Uniti; dall’altro, continua a mostrare una sorprendente difficoltà a stimolare i consumi interni. Al centro di questo enigma c’è il mercato azionario cinese, che da oltre tre decenni non riesce a trasformarsi in un vero motore di creazione di ricchezza per le famiglie.
Dal crollo della bolla azionaria del 2015, l’andamento dei listini cinesi è rimasto stagnante. Il CSI 300, principale indice di riferimento, ha registrato guadagni complessivi di circa il 30% in dieci anni, a fronte di una crescita del 200% dell’S\&P 500 nello stesso periodo.
Un cittadino cinese che avesse investito 10.000 dollari nel CSI 300 nel 2013 si ritroverebbe oggi con poco più di 13.000 dollari. Lo stesso capitale, impiegato sul mercato statunitense, avrebbe superato i 30.000 dollari. Questo divario ha eroso la fiducia dei risparmiatori, alimentando un tasso di risparmio domestico che oggi tocca il 35% del reddito disponibile, uno dei più alti al mondo.
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