Google a processo in Usa, perché e cosa può succedere

Ilena D’Errico

9 Settembre 2023 - 12:49

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Google a processo da martedì 12 settembre in Usa, con l’accusa di aver violato le norme anti-monopolio. Ecco perché, di cosa è stato accusato e cosa può succedere ora.

Google a processo in Usa, perché e cosa può succedere

Martedì 12 settembre comincia il processo del governo americano contro Google, accusato di aver violato le leggi contro il monopolio. Il processo, che dovrebbe durare almeno 10 settimane, si appresta a segnare per sempre la storia. Non solo Google è un vero e proprio colosso nel settore tecnologico e la causa ha un valore elevatissimo, ma verrà costituito un importante precedente per la giurisdizione statunitense e probabilmente impattante anche al di fuori degli Stati Uniti.

La questione non è di poco conto. Innanzitutto, manca – sia dal punto di vista normativo che giurisprudenziale – un’effettiva regolamentazione di mercato delle aziende digitali. Basti pensare che lo Sherman Act, una legge Antitrust, è stato varato nel 1980 con riferimento a monopoli e oligopoli di acciaio, zucchero e ferrovie. Sarà quindi interessante vederne l’applicazione in un ambito così digitale, anche perché l’unico precedente risale al 1998 e il caso Microsoft.

Google a processo, perché e di cosa è accusato

La causa contro Google si muove sulle basi dell’indagine antitrust avviata contro Google ed Apple nel 2019, su indicazione dell’allora presidente Trump, divenuta poi una vera e propria accusa di abuso di posizione dominante, a cui si sono accodati 35 Stati Usa.

Google viene accusato di aver attuato strategie monopoliste, soprattutto riguardo alle tecnologie impiegate per la raccolta pubblicitaria. Si prospettano lunghe peripezie legali per Google, che dovrà affrontare molteplici cause, oltre a quelle mosse dal governo Usa e dai singoli Stati, anche quelle avviate dall’Unione europea.

Indubbiamente Google ha raggiunto livelli di successo e diffusione straordinari nel panorama internazionale, conquistando un monopolio quasi di fatto, corrispondente al 90% del mercato Usa e di quello mondiale. Non è però questo a essere contestato al gigante di Alphabet, ma lo sono i metodi impiegati e considerati abusanti.

È soprattutto la strategia con cui Google ha soppiantato i competitori ad aver allarmato l’Antitrust, ottenendo la supremazia del suo motore di ricerca ai danni di Bing di Microsoft e di DuckDuckGo. Per ottenere questo risultato, Google paga circa 45 miliardi di dollari all’anno ad Apple, Samsung, Lg e Motorola, affinché il suo motore di ricerca sia inserito di default negli smartphone.

Non solo, secondo l’analista Matt Stroller la promozione di Google Chrome avviene anche tramite il pagamento delle principali società statunitensi di telecomunicazioni (tra cui A&T, Verizon e T-mobile) e dei browser Mozilla e Opera.

Sono evidenti le analogie con l’accusa mossa a Microsoft in riferimento al motore di ricerca Windows Internet Explorer, con riferimento alla pratica anticoncorrenziale e monopolistica avviata. La causa ha poi accertato le colpe dell’azienda, a cui sono state comminate le sanzioni contenute nell’accordo amichevole ottenuto con gli Stati dell’accusa.

Cosa può succedere dopo il processo contro Google

L’insieme delle cause contro Google segna un netto cambiamento nella lotta contro i monopoli, che fa ora attenzione anche alle aziende digitali e tutela i dati dei consumatori e i diritti delle altre imprese (soprattutto nell’ottica di andamento del mercato), e non più solo l’aspetto economico che riguarda i consumatori.

Non è infatti un mistero che le aziende digitali negli Stati Uniti – come anche nell’Unione europea a dire il vero – hanno goduto di notevoli margini di libertà nelle normative antitrust, che non si sono evolute velocemente quanto i colossi tech. Negli Usa, in particolare, si è delineato un precedente per cui la lotta al monopolio dovesse essere finalizzata esclusivamente alla tutela del consumatore.

Le iniziative si sono quindi limitate a ostacolare, peraltro non sempre con successo, le fusioni e le acquisizioni che avrebbero portato a un’egemonia sul mercato, e a preservare i consumatori dall’aumento ingiustificato dei prezzi. Le società tech, però, non solo non hanno aumentato significativamente i prezzi dei loro servizi, ma continuano anche ad offrirne molteplici in modo del tutto gratuito. È dunque stato sottovalutato l’impatto della dominanza di settore sulla protezione dei dati dei consumatori, mentre ora si torna a considerare gli effetti del monopolio (o quasi) anche in termini generali sul mercato.

Ecco perché l’esito del processo contro Google sarà significativo non solo per gli Stati Uniti, ma anche per tutto il panorama in cui si muovono le aziende digitali di maggior potere.

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