La strategia USA per contenere il prezzo del greggio penalizza le compagnie energetiche ma favorisce il settore minerario, spinto da margini in crescita e domanda di beni rifugio.
Il recente viaggio del presidente Donald Trump in Arabia Saudita ha acceso i riflettori su dinamiche che intrecciano geopolitica, mercati energetici e investimenti. Oltre la consueta retorica diplomatica, l’incontro ha prodotto risultati concreti: contratti miliardari per la vendita di armi e un’inedita apertura saudita verso il settore tecnologico statunitense, con un focus su intelligenza artificiale e innovazione.
Dietro queste mosse si cela una strategia chiara: Trump punta su Riyad non solo come partner militare, ma come leva per orientare il mercato del petrolio. Il suo obiettivo è mantenere il prezzo del greggio sotto controllo, evitando fiammate inflazionistiche che potrebbero danneggiare la sua base elettorale, già messa alla prova dagli effetti della globalizzazione.
Una materia prima troppo cara alimenterebbe l’inflazione, una delle minacce principali per la stabilità economica americana. Per questo, l’amministrazione cerca un equilibrio delicato: limitare la forza economica della Russia, che finanzia il proprio conflitto attraverso l’export energetico, e al tempo stesso proteggere il potere d’acquisto interno. [...]
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