I fondi pensione negoziali tra l’aumento delle adesioni e la necessità di promuovere gli investimenti nell’economia reale.
Nella giornata odierna è stato presentato a Roma il “Rapporto sui fondi pensione negoziali 2017”, in occasione dell’Assemblea annuale di Assofondipensione.
I dati emersi dal citato rapporto hanno dipinto un quadro interessante: 32 i fondi, 2,67 milioni i lavoratori aderenti, oltre 47 miliardi di euro le risorse accumulate per le future prestazioni, crescita della raccolta netta e rendimenti nel medio-lungo periodo nettamente superiori alla rivalutazione del Tfr.
Adesioni sotto esame
Protagonista, durante la giornata odierna, è stata Assofondipensione, associazione fondata nel 2003 dalle principali organizzazioni delle imprese e dei lavoratori di cui sono soci i fondi pensione (siano essi nazionali o regionali) nei principali settori produttivi italiani.
Stando a quanto emerso, negli ultimi tre anni le iscrizioni ai suddetti fondi sono cresciute di oltre il 12%.
“Nonostante lo sviluppo dei fondi pensione rappresenti un’esperienza di successo non si può tuttavia trascurare che oggi sono iscritti meno di un terzo dei lavoratori potenzialmente aderenti, nonostante una previdenza pubblica non più in grado di garantire trattamenti pensionistici adeguati”,
ha affermato il presidente di Assofondipensione Giovanni Maggi.
L’obiettivo dell’associazione è quello di contribuire alla crescita dimensionale dei fondi, il tutto tramite iniziative che favoriscano non solo l’aumento degli iscritti, ma anche l’incremento dei patrimoni gestiti. Si è parlato dunque di educazione previdenziale e di comunicazione, soprattutto per ricordare l’importanza della previdenza complementare.
(I dati sulla previdenza complementare in Italia)
Gli investimenti nell’economia reale
Non solo necessità di rilanciare le adesioni ai fondi pensioni: ad emergere dall’odierno evento è stato anche il bisogno di incrementare gli investimenti nell’economia reale.
“I fondi negoziali sono ormai investitori istituzionali maturi, capaci di essere doppiamente utili all’economia del Paese: da una parte come collettori del risparmio previdenziale, dall’altra come finanziatori dell’economia produttiva.
Tenendo in considerazione gli incentivi fiscali introdotti dalla recente normativa, l’Associazione si propone di trovare una sintesi di sistema che crei le condizioni per consentire ai fondi pensione di destinare, liberamente e volontariamente, almeno una parte del risparmio previdenziale al finanziamento dell’economia reale e allo sviluppo infrastrutturale. Ciò in cambio di buoni rendimenti e adeguate condizioni di controllo del rischio per gli aderenti”.
Ad oggi, sette fondi pensione negoziali hanno iniziato a muovere i primi passi verso gli investimenti nell’economia reale. In che modo? Fondi di investimento e mandati specializzati.
Al 30 giugno 2017 gli investimenti già effettuati attraverso strumenti specializzati in private debt, private equity, infrastrutture ed energie rinnovabili ammontava a 122,5 milioni di euro (corrispondenti allo 0,3% degli investimenti diretti e in gestione totali dei fondi pensione). L’impegno complessivo assunto è risultato di 331,7 milioni di euro, di cui 181,7 in Italia.
Il tema rendimenti
Quanto hanno reso fino ad ora i fondi pensione negoziali? Nel primo semestre dell’anno il rendimento medio di questi strumenti è stato del +0,9%, un dato su cui hanno pesato le performance poco brillanti del mercato obbligazionario.
Ma osserviamo il quadro da un punto di vista più generale. Dal 2008 al giugno del 2017 il rendimento medio è stato +36,5%, mentre il Tfr si è rivalutato del +22,5%, secondo i dati oggi riportati. Dal 2012 al 2016, invece il rendimento è stato del +29,1% contro un +8,9% di rivalutazione del Tfr.
Dove finiscono gli investimenti?
Il 45,9% degli investimenti, diretti e indiretti, riguarda titoli di Stato, il 20,4% l’azionario e altri titoli di capitale, il 17,6% le obbligazioni, l’8% i fondi comuni e gli ETF, il 7,2% i depositi bancari, e lo 0,9% altre attività. DAl 2016 ad oggi si nota comunque una minore esposizione sui titoli di Stato a favore di obbligazioni, azioni, fondi e depositi.
Dal punto di vista geografico, invece, si segnala come a fine del 2016 il 32,3% degli investimenti fosse allocato in Italia, il 46,6% in altri Paesi dell’Unione Europea, il 20,7% in Paesi Ocse e lo 0,4% in Paesi al di fuori dell’Ocse.
Di quelli in Italia, l’83,5% ha riguardato titoli di Stato, il 9,3% i depositi bancari, il 3,3% le azioni, lo 0,1% quote di fondi e Etf, e il 9,3% i depositi bancari.
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