Tfr, come funziona il silenzio-assenso e cosa cambia nel 2026

Simone Micocci

17 Dicembre 2025 - 13:49

Addio al Tfr in azienda? In legge di Bilancio cambiano le alternative: o fondo Inps oppure la pensione complementare.

Tfr, come funziona il silenzio-assenso e cosa cambia nel 2026

Il silenzio-assenso sul Tfr entra in legge di Bilancio attraverso un emendamento che potrebbe spingere un numero sempre maggiore di lavoratori a destinare il Trattamento di fine rapporto alla pensione complementare.

Ma non è l’unica novità che potrebbe entrare in vigore il prossimo anno. In ogni caso, infatti, verrà meno per le aziende la possibilità di accantonare internamente il Tfr dei propri dipendenti: l’obbligo di versare la quota maturata all’apposito Fondo Inps verrà esteso a tutti i datori di lavoro, e non più soltanto a quelli con almeno 50 dipendenti.

Si tratta di un cambiamento tutt’altro che marginale. In questo modo, infatti, vengono meno le rimostranze di quelle aziende che preferiscono “risparmiare” inizialmente, gestendo direttamente la liquidità del Tfr, per poi corrisponderla in un’unica soluzione al termine del rapporto di lavoro. Una scelta sulla quale si può legittimamente discutere, ma che in molti casi ha finito per influenzare le decisioni dei lavoratori sulla destinazione del proprio Tfr.

Del resto, che il Tfr possa rappresentare una leva fondamentale per garantire in futuro pensioni quantomeno dignitose e adeguate al costo della vita è un tema presente da tempo nel dibattito previdenziale. Nonostante ciò, ancora pochi lavoratori hanno scelto di percorrere questa strada. Ed è proprio per questo motivo che il governo ha deciso di intervenire.

Vediamo quindi come funziona il silenzio-assenso e cosa cambia di fatto dal prossimo anno.

Nuove regole per il Tfr

Abbiamo già anticipato alcune delle novità che la legge di Bilancio 2026 potrebbe introdurre in materia di Trattamento di fine rapporto. È però utile soffermarsi su questi interventi per chiarire nel dettaglio cosa potrebbe cambiare.

La prima regola è quella che ribalta gli automatismi oggi in vigore. Attualmente, infatti, se il lavoratore non comunica una diversa destinazione del Tfr, questo resta accantonato in azienda. Il datore di lavoro è poi libero di trattenerlo se ha meno di 50 dipendenti, mentre in caso contrario è tenuto a versarlo all’apposito Fondo Inps.

Con l’entrata in vigore delle nuove regole, invece, verrebbe introdotto il meccanismo del silenzio-assenso, di cui si è discusso a lungo nei mesi scorsi senza però che si arrivasse a un intervento. In pratica, il lavoratore avrebbe 60 giorni di tempo per esprimere la volontà di non aderire alla previdenza complementare e trattenere il Tfr; in mancanza di una scelta esplicita, la quota maturata confluirà automaticamente in un fondo pensione.

Anche in caso di rinuncia, tuttavia, il Tfr non resterebbe comunque in azienda. Si amplia infatti la platea dei soggetti obbligati a versare il Tfr al Fondo Inps: non è più previsto alcun requisito dimensionale, e anche le aziende con meno di 50 dipendenti non potranno più mantenere le somme in “cassa”.

Perché conviene il Tfr nel fondo pensione?

Con pensioni pubbliche destinate a essere sempre più basse, per molti lavoratori diventa essenziale affiancare alla previdenza obbligatoria una forma di tutela aggiuntiva. La pensione complementare risponde a questa esigenza e, contrariamente a quanto si pensa, non richiede necessariamente nuovi versamenti a carico del lavoratore: può infatti essere finanziata utilizzando il Tfr, una quota di retribuzione che viene comunque accantonata ogni mese.

Destinare il Tfr a un fondo pensione consente di trasformare la liquidazione in un reddito integrativo futuro, senza incidere sullo stipendio netto. È una scelta che risulta particolarmente vantaggiosa per chi ha davanti a sé un orizzonte di lungo periodo, perché permette di beneficiare di rendimenti potenzialmente superiori rispetto alla rivalutazione del Tfr lasciato in azienda, oltre a un regime fiscale più favorevole.

Dal punto di vista fiscale, infatti, il Tfr conferito a un fondo pensione è tassato in modo più leggero rispetto a quello lasciato in azienda: l’aliquota finale può scendere nel tempo fino al 9%, contro percentuali ben più elevate applicate alla liquidazione tradizionale. A questo si aggiunge, nei fondi negoziali, la possibilità di ricevere anche il contributo del datore di lavoro.

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