Flat tax e Irpef, perché e quanto conviene nel 2023 la partita Iva rispetto al lavoro dipendente

Giacomo Andreoli

7 Dicembre 2022 - 12:24

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Con l’estensione del regime forfettario fino a 85mila euro, dal 2023 i lavoratori autonomi avranno un sconto molto forte sulle tasse rispetto ai dipendenti: pagheranno fino a otto volte meno.

Flat tax e Irpef, perché e quanto conviene nel 2023 la partita Iva rispetto al lavoro dipendente

L’estensione della flat tax per le partite Iva fino a 85mila euro per il 2023 favorirà molto i lavoratori autonomi rispetto ai dipendenti. La sproporzione è segnalata in uno studio del Servizio politiche fiscali della Uil, secondo cui gli autonomi entro la nuova soglia di reddito pagheranno fino all’800% in meno di Irpef rispetto ai dipendenti.

Una diseguaglianza evidente, che farà gravare tutto il peso dell’imposta sul reddito delle persone fisiche proprio su dipendenti e pensionati. Per questo il sindacato, assieme a Cgil e Cisl, chiede di rivedere la misura voluta dal governo Meloni o quantomeno di alzare contemporaneamente lo stipendio dei lavoratori subordinati, andando oltre il taglio del cuneo fiscale del 3% e 2% (entro i 20mila e i 35mila euro annui).

Flat tax 2023, chi ci guadagnerà di più?

Secondo l’analisi della Uil, infatti, un autonomo con un fatturato annuo di 85mila euro lordi pagherebbe 27mila euro in meno di Irpef rispetto a un dipendente con lo stesso reddito ogni dodici mesi. Sarebbe proprio questo il caso di maggiore diseguaglianza. Lo scarto è generato dal fatto che in regime forfettario si paga una tassa piatta al 15%, mentre per i lavoratori dipendenti l’Irpef va dal 23% al 43% a seconda del reddito.

Alla percentuale dell’800% si arriva paragonando l’Irpef pagata da un lavoratore autonomo nel settore del commercio alimentari e bevande, con 85mila euro di fatturato e dipendenti o pensionati con lo stesso reddito: lo scarto di tasse è quasi 4mila euro contro poco meno di 31mila.

In questo calcolo, poi, non è considerata la flat tax incrementale, che farà pagare a tutte le partite Iva, entro i 40mila euro di guadagno extra tra un anno e l’altro, il 15% di tasse su quell’aumento di ricavo.

Partita Iva o lavoro dipendente: cosa conviene?

Lo squilibrio, in ogni caso, secondo la Uil è evidente sia nelle fasce di reddito più alte che in quelle più basse. Ad esempio un autonomo che lavora nel settore immobiliare e ha un reddito di 73.100 euro, dopo aver applicato tutti i coefficienti di redditività dovuti in quanto partita Iva, pagherà circa 8mila euro di Irpef, contro i 25mila di un lavoratore dipendente o di un pensionato.

Altro esempio è quello di un ambulante del settore non alimentare, che ha un reddito di circa 46mila euro: paga già 5mila euro di tasse contro i 13mila di dipendenti e pensionati. Secondo Domenico Proietti, segretario confederale della Uil, tutti questi casi rappresenterebbero “una differenza enorme che non trova giustificazione”.

Quanto pesa l’Irpef per dipendenti e autonomi

Già oggi, con una soglia per il regime forfettario più bassa, solo il 4% dell’Irpef viene pagato dalle partite Iva. I dati del ministero dell’Economia relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2020, infatti, segnalano che i dipendenti hanno versato il 61,1% di tutta l’Irpef netta a livello nazionale. I pensionati, invece, hanno versato il 35,2%. In tutto, come detto, si raggiunge il 96,3% del totale.

Secondo Proietti “uno stato democratico deve fondarsi su un fisco equo e progressivo così come previsto dalla nostra Costituzione”. Per questo la Uil chiede anche una battaglia vera contro l’evasione fiscale, che ogni anno “sottrae ai cittadini oltre 100 miliardi di euro, l’equivalente di tre leggi di bilancio”.

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