L’Europa scopre il più grande tesoro sottomarino: 45.000 tonnellate l’anno

Ilena D’Errico

28 Settembre 2025 - 20:46

È questo il vero grande tesoro sottomarino dell’Europa. Ecco perché non lo sfrutta ancora.

L’Europa scopre il più grande tesoro sottomarino: 45.000 tonnellate l’anno

L’Europa ha scoperto il suo vero tesoro sottomarino, la possibilità di produrre 45.000 tonnellate l’anno di idrogeno verde grazie al ricco mare del Nord. La distesa d’acqua già redditizia nel campo delle risorse energetiche, soprattutto petrolio e gas naturale, cattura ora l’attenzione del rinnovabile. I parchi eolici offshore, sempre più protagonisti dell’energia pulita, trovano nell’area le condizioni perfette per la produzione massiccia.

Non che la possibilità di produrre idrogeno verde nel mare del Nord fosse sconosciuta finora, ma le nuove tecnologie stanno finalmente offrendo la soluzione per ridurre i costi (e l’impatto, che a dispetto della scelta ecologica non è comunque nullo) massimizzando il risultato. Così, sfruttando appieno il potenziale delle acque nord-occidentali, l’Europa potrebbe produrre fino a 45.000 tonnellate di idrogeno ogni anno. Un passo inevitabile per l’autonomia energetica europea e la transizione ecologica, che permetterebbe al continente di soddisfare più agevolmente il fabbisogno interno, senza rimanere indietro nel mutamento dei mercati.

L’idrogeno verde ha infatti un ruolo cruciale nella decarbonizzazione dell’industria, che insieme alla crescente domanda energetica possono garantire una posizione di tutto rispetto all’Ue. Quest’ultima potrebbe infatti, come il Regno Unito, diventare autosufficienti secondo uno studio di Ehb. L’idrogeno autoprodotto, aumentando la capacità, dovrebbe infatti risultare compatibile con una domanda di circa 2.300 TWh entro il 2050.

Cos’è l’idrogeno verde, pro e contro

L’idrogeno in forma di gas è sempre uguale, ma a seconda delle modalità di produzione e delle relative emissioni di Co2 si distingue tra idrogeno grigio, blu (entrambi derivati dal metano, ma il secondo ha emissioni contenute grazie allo stoccaggio dell’anidride carbonica) e appunto verde. Quest’ultimo, detto anche idrogeno green o rinnovabile, viene prodotto con l’elettrolisi dell’acqua, escludendo completamente i combustibili fossili e riducendo sensibilmente le emissioni inquinanti.

Ciò è possibile soltanto utilizzando una fonte rinnovabile per l’alimentazione, come l’energia solare, eolica o idroelettrica. L’eolico va per la maggiore, soprattutto le piattaforme offshore che consentono di massimizzare la produzione e, sul lungo periodo, ridurre i costi. Questo comunque non significa che la produzione di idrogeno verde con i parchi eolici offshore sia priva di svantaggi. Bisogna considerare:

  • l’impatto sulla biodiversità marina e sulla fauna;
  • la produzione altalenante;
  • i costi di installazione e la necessità di manutenzione;
  • l’impronta carbonica;
  • i lunghi tempi di autorizzazione (che lasciano indietro soprattutto Paesi come l’Italia).

D’altra parte, l’eolico offre comunque diversi elementi positivi, non solo dal punto di vista energetico e ambientale ma anche attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro e opportunità per i territori. Così, gli studi sono andati avanti, mettendo a punto vari sistemi per risolvere i problemi o quanto meno limitarli.

L’Europa può produrre almeno 45.000 tonnellate di idrogeno verde l’anno

L’investimento iniziale per i parchi offshore che consentirebbe all’Europa di sfruttare al meglio il mare del Nord, con forti correnti per lo più costanti e profondità relativamente basse (l’ideale per la produzione), è senza dubbio importante. Costi che però possono rapidamente fruttare ben di più, se solo ci fosse un adeguato accordo tra gli Stati comunitari e una comune priorità in tal senso. Bruxelles vi lavora da tempo, ma oggi con le nuove tecnologie all’orizzonte l’obiettivo potrebbe essere più vicino. Per esempio, il sistema Windcatcher si basa su una struttura galleggiante che unisce diverse turbine consentendo di massimizzare la produzione e renderla più economica su vasta scala.

Con alcuni accorgimenti, inoltre, l’impatto dei parchi eolici marini sulla biodiversità e la fauna può essere ridotto ampiamente. Gli studi parlano di pericolo “minore”, ridotto per gli uccelli rispetto alle piattaforme sulla terraferma ma notevole per alcune specie di pesci messe a rischio dai campi elettrici. Ciò che spaventa sono però soprattutto gli effetti durante l’installazione, che con i lavori può interferire sensibilmente sulla vita marina.

La scelta adeguata dell’area e le tecnologie di riduzione per il rumore possono comunque consentire di bilanciare questi svantaggi addirittura aumentando la biodiversità, grazie alla barriera artificiale delle turbine e al divieto di pesca. Quanto all’impronta carbonica, pur non assente, è comunque inferiore del 99% rispetto a quella di fonti non rinnovabili, e sono in corso gli studi per pale riciclabili grazie all’introduzione di nuovi materiali. L’energia eolica circolare non è ancora realtà, ma potrebbe esserlo. Così, la maggiore preoccupazione attuale, insieme ai costi, è la crescente domanda di rame, con una richiesta media di quasi 30.000 kg per turbina.

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