Allarme PFAS. Un’indagine internazionale svela il rapporto tra lobby e istituzioni europee

Andrea Fabbri

10 Ottobre 2025 - 05:22

Un’indagine del Financial Times ha scoperto legami tra le lobby dei produttori di PFAS e le società di consulenza dell’Unione Europea

Allarme PFAS. Un’indagine internazionale svela il rapporto tra lobby e istituzioni europee

I PFAS sono delle particolari sostanze chimiche che vengono utilizzate negli imballaggi, nei vestiti, nelle padelle antiaderenti e in moltissimi prodotti industriali. Sostanze conosciute anche come “inquinanti eterni” che arrivano a contaminare facilmente i terreni agricoli e i corsi d’acqua. Molte di esse, secondo la scienza sono cancerogene e possono provocare problemi al sistema immunitario e ormonale.

Per questi motivi in UE si parla di vietarle o almeno limitarne drasticamente l’utilizzo.

A rendere più difficile questo obiettivo, però, ci sono le lobby delle aziende che producono PFAS.

Stanno infatti emergendo molti dubbi sul ruolo dei consulenti scelti per supportare l’agenzia comunitaria che stabilirà le normative che tutti dovranno applicare. Il Financial Times ha scoperto che la società Ramboll avrebbe fornito consulenze sia all’ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche) sia alle aziende produttrici di PFAS.

Un conflitto d’interessi difficile da giustificare.

L’inchiesta del Financial Times

Il mese scorso l’ECHA ha pubblicato una nota sui PFAS in cui si ipotizzava il prolungamento dell’uso delle sostanze, seppur con condizioni di applicazione più rigide.

Un annuncio che ha fatto scalpore e che ha creato non pochi dubbi a livello istituzionale. Il motivo di questa frenata sull’abolizione dei PFAS potrebbe averlo scoperto il Financial Times: sembra che Ramboll, società di consulenza incaricata dall’ECHA per predisporre un piano per l’eliminazione degli inquinanti, abbia collaborato nello stesso periodo con le aziende Honeywell, 3M, Gujarat Fluorochemicals che quegli inquinanti li producono.

Una sovrapposizione di ruoli ampiamente documentata su registri e documenti ufficiali dell’UE.

La risposta di Ramboll

Interrogata sull’argomento, Ramboll ha respinto ogni tipo di accusa e ha sostenuto che le valutazioni fornite all’ECHA sono tutte basate su prove scientifiche indipendenti.

In più ha sottolineato come l’azienda abbia importanti procedure interne per azzerare il rischio di conflitti d’interesse.

Una risposta che non ha convinto fino in fondo. Sicuramente non ha convinto l’eurodeputata Cristina Guarda del gruppo Verdi/ALE che ha già depositato un’interrogazione urgente alla Commissione per fare chiarezza sull’accaduto.

Il precedente

Il problema delle interferenze delle lobby nel processo di transizione green promosso dall’UE era già stato denunciato dall’indagine internazionale “Forever Lobbying Project”, coordinata alcuni mesi fa dai giornalisti di Le Monde.

Il gruppo di indagine (composto da 46 giornalisti di 16 Paesi diversi) ha ampiamente documentato la campagna di disinformazione lanciata dalle aziende produttrici di PFAS per ostacolare le proposte europee di restrizione e divieto.

Una campagna di disinformazione che ha preso in prestito alcune delle strategie messe in campo da decenni dalle industrie del tabacco, dei pesticidi e dei combustibili fossili e che ha provato a tentare di sminuire i risultati della ricerca scientifica sulla pericolosità dei PFAS, a sottolineare la loro necessità nei processi produttivi, a screditare le alternative “ecologiche” perché troppo costose e a puntare il focus sull’eventuale perdita di posti di lavoro che i divieti potrebbero causare nelle industrie.

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