Tra trasparenza negata e sfiducia nei media tradizionali, la battaglia di Tucker Carlson sugli Epstein Files rivela la crisi del giornalismo e il nuovo potere dell’informazione indipendente.
C’è un punto in cui la segretezza giudiziaria non è più prudenza, ma panico. Il governo americano sembra esservi arrivato: gli “Epstein files”, in possesso al Dipartimento di Giustizia americano, restano chiusi in cassaforte nonostante le pressioni bipartisan del Congresso e l’interesse dell’opinione pubblica. Una storia emblematica che ci fa cogliere, tra le altre cose, un aspetto estremamente importante dello strano periodo che sta attraversando il mondo dell’informazione statunitense.
La sensazione, a pelle, è che un solco ormai insormontabile si sia scavato tra gli organi di informazione tradizionali – mainstream e non – e podcaster come Tucker Carlson, Joe Rogan, Lex Fridman, Candace Owens, Patrick Bet-David o Glenn Greenwald. Questi ultimi incarnano oggi ciò che negli anni ’80 erano i network televisivi privati: una rottura del monopolio informativo.
Mentre i grandi media tradizionali — CNN, NBC, New York Times, Fox, ecc. — hanno progressivamente uniformato il linguaggio e i filtri editoriali, i podcaster offrono un’informazione disintermediata, costruita sul rapporto diretto con il pubblico. Non c’è redazione, non ci sono direttori a “limare” le parole: c’è un individuo che parla liberamente, e milioni che lo ascoltano. In questo ecosistema, la credibilità non viene più dal marchio, ma dalla coerenza della persona.
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