Definizione liti pendenti, pagamento del 90% in caso di mancata riassunzione del giudizio di rinvio

Anna Maria D’Andrea

26 Marzo 2019 - 17:13

condividi

Definizione liti pendenti, pace fiscale con pagamento del 90% del valore della controversia nel caso di mancata riassunzione in esito al rinvio operato dalla Corte di Cassazione. I chiarimenti nella risposta n. 84 pubblicata dall’Agenzia delle Entrate il 26 marzo 2019.

Definizione liti pendenti, pagamento del 90% in caso di mancata riassunzione del giudizio di rinvio

Definizione agevolata liti pendenti, pagamento del 90% del valore della controversia in caso di mancata riassunzione del giudizio di rinvio.

La pace fiscale presenta notevoli profili di complessità, soprattutto per quel che riguarda la definizione agevolata delle controversie tributarie.

Così è almeno nel caso oggetto della risposta all’interpello n. 84 pubblicata dall’Agenzia delle Entrate in data odierna, 26 aprile 2019 che affronta uno dei casi non direttamente disciplinato dal decreto legge n. 119/2018, che ha introdotto la definizione agevolata delle liti pendenti.

Anche nel caso di soccombenza dell’Agenzia delle Entrate in entrambi i gradi di merito, il contribuente dovrà versare il 90% del valore della controversia nel caso in cui la Suprema Corte abbia annullato la sentenza di secondo grado per motivi processuali e i termini per la riassunzione non siano ancora spirati al 24 ottobre 2018.

Una somma ben superiore a quanto prospettato dal contribuente istante, che credeva di poter definire la controversia versando il 5% del valore della stessa, così come stabilito per le controversie pendenti in Cassazione.

Responso diverso quello dell’Agenzia delle Entrate perché in tal caso si consoliderebbe l’originario atto impositivo, e la pace fiscale si fa versando lo stesso importo previsto nel caso di ricorsi pendenti in primo grado dinnanzi alla Commissione Tributaria.

Definizione liti pendenti, la mancata riassunzione del giudizio di rinvio penalizza il contribuente

Il caso oggetto dell’interpello n. 84 è emblematico per evidenziare quelle che sono le criticità della normativa che sta alla base della pace fiscale e soprattutto della definizione agevolata delle liti pendenti.

A chiedere chiarimenti all’Agenzia delle Entrate è un contribuente al quale era stato recapitato un avviso di accertamento nel 2008.

La competente Commissione tributaria provinciale aveva annullato l’avviso ritenendo fondate le ragioni del contribuente ricorrente. L’imperterrita Agenzia delle entrate ha impugnato la pronuncia dinanzi alla Commissione tributaria regionale che ha dichiarato inammissibile l’appello.

Ancora, contro la sentenza di inammissibilità, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso alla Suprema Corte che ha cassato con rinvio la sentenza di appello.

La vicenda processuale si incrocia con le novità fiscali introdotte alla fine dello scorso anno, quando l’articolo 6 del Decreto Legge n. 119/2018 ha introdotto la definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti, diversificando l’importo dovuto in base allo stato e al grado di giudizio.

Mancano tuttavia specifiche indicazioni nel caso in cui entrambi i gradi di merito siano stati favorevoli al contribuente, la Suprema Corte abbia annullato la sentenza di secondo grado per motivi processuali e i termini per la riassunzione non siano ancora spirati.

Agenzia delle Entrate - risposta interpello n. 84 del 26 aprile 2019
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – definizione ex articolo 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119.

Sentenza cassata con rinvio, definizione agevolata al 90% in caso di mancata riassunzione

La pace fiscale è particolarmente vantaggiosa per i contribuenti che decidono di chiudere controversie tributarie pendenti dinnanzi alla Corte di Cassazione: se l’Agenzia delle Entrate risulta soccombente in tutti i gradi del giudizio, sarà possibile pagare il 5% del valore della lite.

Tale disciplina tuttavia non si applica alla cassazione con rinvio. La mancata riassunzione crea una situazione comparabile a quella del ricorso iscritto in primo grado, ed in tal caso la controversia può essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della lite.

Per fornire i chiarimenti necessari, l’Agenzia delle Entrate richiama a norme processuali.

L’articolo 393 del codice di procedura civile dispone che nei casi di mancata o intempestiva riassunzione del giudizio dinanzi al giudice del rinvio “…l’intero processo si estingue”, con la conseguenze caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso del giudizio.

Elencando una serie di sentenze della Cassazione, l’Agenzia delle Entrate dichiara di aver più volte ricordato che:

“il giudizio di rinvio (…) costituisce una fase nuova ed autonoma, ulteriore e successivo momento del giudizio (…) diretto e funzionale ad una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce direttamente (‘per la prima volta’, così testualmente Cass. n. 5901 del 1994) sulle domande proposte dalle parti”

La mancata riassunzione consolida l’atto originario

Quello che emerge è che nel caso di mancata riassunzione, in esito al rinvio operato dalla Corte di cassazione, si consoliderebbe l’originario atto impositivo e, ai fini della definizione della controversia tributaria pendente, risulta dovuto un importo commisurato al 90 per cento del relativo valore, analogamente a quanto previsto per i ricorsi pendenti dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado.

Una regole già chiarita nella Relazione illustrativa al decreto-legge n. 119 del 2018, nella quale si legge che:

“Nel caso in cui sia intervenuta sentenza di Cassazione con rinvio, la controversia si considera pendente in primo grado senza decisione, in coerenza con la previsione dell’articolo 68, comma 1, lett. c-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 in materia di riscossione in pendenza del giudizio di rinvio”.

Iscriviti a Money.it