Con dazi USA l’economia globale e imprese italiane in crisi, tra incertezza e sfiducia

Federico De Palma

19 Giugno 2025 - 14:53

Le politiche protezionistiche annunciate dagli Stati Uniti e l’instabilità internazionale aggravano l’incertezza economica. In Italia, le imprese mostrano segnali di difficoltà su più fronti.

Con dazi USA l’economia globale e imprese italiane in crisi, tra incertezza e sfiducia

Il secondo trimestre del 2025 si è aperto in un contesto di forte incertezza economica globale. Le nuove misure protezionistiche annunciate dagli Stati Uniti sotto la guida di Donald Trump rilanciano il dibattito sul ritorno del protezionismo e sui suoi effetti sull’economia mondiale. Tra i Paesi più esposti, c’è anche l’Italia, con le sue imprese già messe alla prova da rincari energetici, difficoltà di accesso al credito e calo della fiducia.

Il protezionismo statunitense mette a freno l’economia globale

Con il ritorno di Donald Trump, gli Stati Uniti hanno avviato un nuovo corso in politica commerciale, fondato su un rafforzamento delle barriere doganali verso partner strategici come Unione Europea e Cina. L’obiettivo dichiarato è tutelare l’industria americana, ma le conseguenze globali sono complesse: aumento dei costi per le imprese, contrazione degli scambi e difficoltà nelle catene di approvvigionamento.

Il report di PwC evidenzia come questo scenario stia generando effetti a cascata, aggravando un clima già segnato da tensioni geopolitiche e instabilità economiche latenti. L’Unione Europea ha risposto con contromisure tariffarie del valore di 26 miliardi di euro, mentre l’Italia, che nel 2024 ha registrato un surplus commerciale verso gli USA di 64,7 miliardi, si trova ora in una posizione vulnerabile.

Una simulazione mostra che, in uno scenario sfavorevole, il PIL italiano potrebbe ridursi fino allo 0,2% per effetto diretto del calo delle esportazioni verso il mercato americano. Tuttavia, secondo lo stesso studio, le imprese statunitensi potrebbero essere le più colpite sul medio periodo: le misure protezionistiche annunciate rischiano di generare effetti negativi anche all’interno della stessa economia americana, comportando un aumento dei costi per molte imprese statunitensi, in particolare quelle con catene di fornitura globali.

L’impatto sul Made in Italy e sui settori chiave dell’export

Tra i Paesi europei più esposti ai nuovi dazi americani, l’Italia occupa una posizione particolarmente delicata. Le misure protezionistiche introdotte andrebbero a colpire in modo trasversale alcuni dei comparti più strategici per l’export italiano, con ricadute potenzialmente significative su occupazione e fatturato.

I settori più impattati sono quelli a più alta vocazione internazionale: macchinari e impianti, autoveicoli e altri mezzi di trasporto, farmaceutico, alimentare, chimico, bevande, e naturalmente tutto il comparto della moda e tessile, emblema del Made in Italy. Si tratta di industrie ad alto contenuto di valore aggiunto, che negli anni hanno costruito una presenza solida sui mercati statunitensi, oggi però minacciata da rincari doganali e possibili contromisure commerciali.

Secondo i dati di Creditsafe sono oltre 176.000 le imprese italiane attive in questi settori, con una distribuzione territoriale che riflette la struttura produttiva del Paese. Le aziende del tessile e moda si concentrano per oltre il 35% nel Centro Italia, mentre i comparti alimentare e bevande si distribuiscono tra il Nord-Ovest e il Sud. Le industrie farmaceutiche e chimiche sono radicate soprattutto nel Nord-Ovest, che da solo ospita più del 40% delle aziende del comparto. I settori di macchinari e autoveicoli, anch’essi ad alta intensità export, vedono la maggiore concentrazione tra il Nord-Ovest e il Nord-Est.

A rendere il quadro ancora più delicato è la dimensione aziendale: l’87% di queste imprese è costituito da piccole e micro realtà, con il 75% che conta meno di 20 dipendenti e, tra queste, oltre la metà (54%) con meno di 5 addetti. Una struttura produttiva così frammentata, se da un lato rappresenta la ricchezza del tessuto imprenditoriale italiano, dall’altro espone molte imprese a una vulnerabilità maggiore nei confronti di shock esterni come l’aumento dei dazi, l’instabilità geopolitica o l’erosione dei margini a causa dell’aumento dei costi. La vulnerabilità e l’esposizione ai rischi derivanti dall’introduzione dei dazi varia quindi a seconda dei settori e delle zone territoriali in cui le percentuali del loro export verso il mercato statunitense sono superiori.

Fiducia delle imprese italiane in calo

L’introduzione dei nuovi dazi da parte degli Stati Uniti si va a inserire in un contesto già complesso per le imprese italiane, segnato da criticità strutturali e incertezze crescenti. Secondo l’Osservatorio Imprese condotto da Format Research, nel primo trimestre del 2025, il clima di fiducia delle imprese in Italia ha registrato un peggioramento significativo, in parte dovuto anche alle grandi incertezze macro economiche dell’ultimo periodo. La percezione negativa non riguarda solo l’economia nel suo complesso, ma anche l’andamento delle singole aziende: molte realtà, infatti, prevedono un peggioramento della propria situazione economico-finanziaria nei mesi a venire.

I ricavi nel primo trimestre 2025 risultano in netto calo rispetto al 2024, senza segnali concreti di miglioramento nel breve periodo. Questa flessione è accompagnata da un aumento dei costi operativi, trainati soprattutto dal rincaro delle materie prime energetiche, che continua a rappresentare una delle principali criticità per le imprese.

Accesso al credito sempre più difficile

Nel clima di crescente instabilità economica, anche il rapporto tra imprese e sistema bancario si fa più teso. Nel primo trimestre del 2025, il 20% delle imprese italiane si è rivolto alle banche per ottenere un finanziamento, una linea di affidamento o la rinegoziazione di condizioni esistenti. Di queste, il 58% ha ottenuto l’importo richiesto o superiore, mentre il 20% ha ricevuto un ammontare inferiore, e il 14% si è visto respingere la domanda. Sebbene non si registri ancora un vero e proprio razionamento del credito, si evidenzia un trend di irrigidimento: cala la quota di imprese che ottiene ciò che ha chiesto (da 66% a 58%) e cresce quella che riceve meno o nulla (da 26% a 34%).

Questa tendenza trova conferma anche nell’Indagine sul credito bancario della Banca Centrale Europea, che segnala un inasprimento netto degli standard creditizi da parte delle banche italiane nel primo trimestre dell’anno. Le cause principali sono l’aumento dei rischi percepiti sul piano economico generale, le incertezze specifiche legate ai settori produttivi e una minore propensione al rischio da parte degli istituti finanziari. Parallelamente, le condizioni di erogazione rimangono rigide: aumentano le garanzie richieste, peggiorano le valutazioni sulla durata dei finanziamenti e si rafforza la selettività nei criteri di concessione.

A conferma delle difficoltà del contesto economico attuale, secondo i risultati dell’Osservatorio, ben il 75,6% delle imprese ha chiesto credito per esigenze di liquidità e cassa, seguite dal 21,4% per investimenti e solo il 3% per ristrutturazioni del debito. Questa polarizzazione verso il breve termine riflette una fragilità strutturale del tessuto imprenditoriale italiano, costituito per lo più da micro o piccole realtà spesso prive degli strumenti per affrontare situazioni più critiche.

Peggiorano le tempistiche di pagamento ma il mercato del lavoro mostra segnali di tenuta

Anche i flussi di cassa diventano critici: il 33% delle imprese segnala un peggioramento nei tempi di pagamento da parte dei clienti, un aumento del 25% rispetto nel 2024. In altre parole, si incassa meno e più tardi, facendo rallentare l’intera filiera economica. L’occupazione resta, per il momento, l’unico indicatore relativamente stabile: il numero degli occupati non mostra ancora segnali di calo, ma questo equilibrio appare precario, dovuto dalla stagnazione dei ricavi e dal rallentamento degli investimenti.

Conclusioni: resistenza e vulnerabilità delle imprese italiane

Il 2025 si sta configurando come un anno sempre più complesso, segnato da profonde trasformazioni nei rapporti economici internazionali e da una crescente pressione sulle imprese italiane. In questo contesto, il ritorno del protezionismo e le tensioni geopolitiche non rappresentano più solo variabili esterne e temporanee, ma elementi strutturali che incidono direttamente sulla capacità delle imprese di pianificare, investire e competere su scala globale.

I dazi annunciati da Donald Trump rappresentano una sfida per l’economia italiana, rischiando di compromettere la competitività del Made in Italy in un mercato strategico come quello statunitense, colpendo in modo trasversale alcuni dei settori ad alta vocazione export. L’incremento dei costi per l’accesso al mercato americano rischia di produrre effetti a catena: contrazione della domanda, riduzione dei margini, perdita di posizionamento competitivo e impatto occupazionale nelle filiere più esposte.

L’Italia dovrà dunque adattarsi a un contesto globale più incerto e rafforzare la resilienza del proprio sistema produttivo. Affrontare queste sfide richiederà una visione strategica condivisa tra imprese, istituzioni e sistema finanziario, per evitare che la fragilità di oggi diventi stagnazione domani.

In collaborazione con Creditsafe Italia

Iscriviti a Money.it