Cosa rischia chi condivide le foto del partner online?

Simone Micocci

21 Agosto 2025 - 17:03

Ecco cosa rischia chi condivide le foto del partner online secondo la legge. Multe, reati e il caso del gruppo su Facebook “Mia moglie”.

Cosa rischia chi condivide le foto del partner online?

Il problema della divulgazione di foto altrui senza consenso è esploso in questi giorni, grazie alla luce fatta sul gruppo Facebook “Mia moglie”. Chi non ne avesse sentito parlare prima avrà senza dubbio saputo della vicenda ora che il polverone mediatico ha portato all’intervento di Meta. In sintesi, comunque, si trattava di un gruppo in cui gli iscritti condividevano foto delle mogli a loro insaputa, allegate con apprezzamenti sessuali di dubbio gusto. Non sempre si trattava davvero di mogli, talvolta venivano incluse le immagini di altre donne, in altri casi veniva usata la narrazione in modo evidentemente falso.

In ogni caso, il comune denominatore erano le foto di donne pubblicate senza il loro consenso e qualche volta anche scattate di nascosto, scambiate come figurine e lasciate alla mercé del web. Adesso, con la denuncia mediatica dell’organizzazione no profit "No justice no peace” e la chiusura del gruppo, gran parte degli iscritti si sono spostati in altre sedi, in primis canali Telegram, per continuare ad agire indisturbati.

Si complica così il lavoro della Polizia postale e del Garante della privacy, visto che ci sono possibili illeciti. La situazione è molto complessa giuridicamente, ma potrebbero esser mosse diverse accuse a coloro che hanno condiviso queste immagini.

Cosa rischia chi condivide le foto del partner online?

Non è possibile condividere foto che ritraggono altre persone senza il loro consenso o quello dei loro genitori se si tratta di minori. Questa regola è sempre valida, ma ha un limite insuperabile: riguarda contenuti in cui la persona è riconoscibile. Ovviamente il protagonista dell’immagine o del video può riconoscersi senza fatica anche con pochi elementi di sé, ma per l’illecito deve essere identificabile. Nella stragrande maggioranza dei casi oscurare il volto, coprirlo o non includerlo nella foto è più che sufficiente, ma non per tutti gli illeciti.

Il caso specifico del gruppo Facebook “Mia moglie aiuta a capire la legge con degli esempi pratici, avendo contenuto di fatto tutte le possibili fattispecie. Per esempio, sono state diffuse diverse foto in cui il volto delle protagoniste era chiaro e riconoscibile. Un illecito civile che dà diritto al risarcimento del danno, oltre alla rimozione dei contenuti e a eventuali sanzioni del Codice della privacy. Ci sono poi immagini senza volto, pensate per sfruttare la connotazione sessuale senza ritrarre parti intime o atti sessuali che avrebbero comportato l’oscuramento secondo le linee guida di Meta. In questo caso, la condotta può non essere punibile oppure integrare il cosiddetto reato di revenge porn.

Quando condividere foto del partner è reato

Il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti previsto dall’articolo 612 ter del Codice penale, colloquialmente chiamato “revenge porn”, non presuppone che la vittima sia riconoscibile. Tanto è stato confermato dalla sentenza n. 11743/2025 della Corte di Cassazione, secondo la quale è sufficiente che la diffusione sia avvenuta senza consenso. Per trattarsi di un reato, tuttavia, i contenuti devono comunque riguardare contenuti sessualmente espliciti. Con un’interpretazione troppo rigorosa quasi tutte le immagini di “Mia moglie” sarebbero da considerare lecite in quest’ottica.

Molte foto ritraevano pose e parti del corpo “innocue”, come le mani o le gambe, nonostante ciò non abbia impedito un certo tenore di commenti non sarebbero contenuti espliciti. Una definizione difficile da estendere anche a foto come la scollatura o il lato B esposti dalle pose assunte faccende domestiche. Anche in questo caso, tuttavia, l’orientamento della Cassazione aiuta le vittime. Secondo la sentenza n. 14927/2023 è reato condividere foto senza consenso anche quando non hanno contenuti sessualmente espliciti ma riguardano parti erogene del corpo umano in contesti idonei a evocarne la sessualità. Quest’ultimo un presupposto che gli autori dei post scrivevano con chiarezza nelle didascalie, non lasciando spazio a dubbio. Molti di loro rischierebbero così la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 euro a 15.000 euro, come chiunque abbia partecipato alla diffusione, aggravata dai mezzi informatici e anche dalla relazione affettiva. A tal fine, gli autori dovrebbero essere querelati entro 6 mesi. Il fatto è però procedibile d’ufficio in alcune ipotesi, tra cui quando le vittime sono donne in gravidanza.

Il presupposto del reato di revenge porn è l’intenzione di arrecare un danno alla vittima, un elemento psicologico da valutare di caso in caso. Chi condivide foto del partner rischia quindi accuse molto gravi, che possono includere anche la diffamazione e lo stalking. La diffamazione, nella condivisione online e in gruppi liberi, è aggravata dal mezzo stampa, pertanto punita con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da 516 euro. Il matrimonio o comunque il legame sentimentale costituisce inoltre un’ulteriore aggravante. Questo reato presuppone un’offesa alla reputazione della vittima, che deve essere riconoscibile (anche con tratti distintivi) per esempio quando nella pubblicazione delle foto sono state scritte dichiarazioni false circa il consenso e le intenzioni della vittima.

Gli atti persecutori, invece, presuppongono condotte ripetute tali da condizionare la vita della vittima e/o procurarle uno stato d’ansia costante. Nel caso specifico, si pensi a una persona ritratta (moglie o meno) costretta a chiudere i profili social a causa delle continue condivisioni. Il reato di stalking, spesso in concorso con il revenge porn, è punito con la reclusione da 1 anno a 6 anni e 6 mesi, oltre alle aggravanti per i mezzi informatici e i rapporti di matrimonio o analoghi.

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