Cosa fare se il coniuge non paga gli alimenti?

Giorgia Dumitrascu

3 Dicembre 2025 - 15:03

Cosa accade quando l’ex smette di pagare l’assegno deciso dal giudice: rimedi per recuperare le somme e quando scatta il reato.

Cosa fare se il coniuge non paga gli alimenti?

Quando l’ex smette di pagare l’assegno di alimenti stabilito dal giudice, la conseguenza non è soltanto un disagio economico ma una violazione vera e propria dell’obbligo imposto dal tribunale. Può accadere dopo una discussione, per risentimento, o perché l’ex decide di “ridurre” l’importo senza alcuna autorizzazione. In questi casi non si tratta di un semplice ritardo, ma di un inadempimento che la legge consente di affrontare con strumenti rapidi, tanto sul piano civile quanto su quello penale.

Quando il mancato pagamento diventa una violazione

Capire di fronte a che tipo di inadempimento ci si trova è necessario per scegliere la strada più efficace da intraprendere, perché:

“La legge distingue tra chi non può pagare e chi decide di non farlo”.

Esistono situazioni in cui la sospensione dell’assegno è legata a una vera impossibilità economica, come una malattia improvvisa o la perdita del lavoro, ma non sono queste le ipotesi che interessano quando l’ex smette di pagare l’assegno di proposito. È questo comportamento volontario a trasformare il mancato pagamento in una vera violazione del titolo esecutivo e ad aprire la strada ai rimedi civili e, nei casi previsti, anche penali. Una cosa va chiarita senza ambiguità:

“L’assegno non può essere rimodulato dall’ex in base alla propria percezione di equità”.

Le modifiche anche minime, richiedono un nuovo provvedimento del giudice. Il percorso è previsto dal nuovo rito unico familiare introdotto dalla riforma Cartabia art. 473-bis c.p.c. per la separazione e, per il divorzio, dall’art. 9 (l. n. 898/1970). Fino a quel momento, l’importo fissato resta vincolante. Ridurlo unilateralmente significa compiere un atto contrario al titolo esecutivo e integrare, di fatto, un inadempimento volontario. Ad esempio, pagare una somma inferiore o versarla a singhiozzo pur avendo i mezzi per pagare l’intera somma.

Cosa fare subito quando l’ex smette di pagare?

Il primo passo è raccogliere le prove dell’inadempimento. Occorrono i movimenti del conto su cui l’assegno sarebbe dovuto arrivare, lo storico dei versamenti già effettuati e gli eventuali messaggi in cui l’ex annuncia l’intenzione di sospendere o ridurre i pagamenti di propria iniziativa. Anche i silenzi, come la mancata risposta a richieste di chiarimento, possono aiutare a ricostruire l’intenzionalità.

Interrompere la prescrizione degli arretrati dell’assegno

Gli arretrati dell’assegno degli alimenti si prescrivono in cinque anni. Il modo più semplice per bloccare il decorso del tempo è inviare una diffida formale o una messa in mora. Non serve adottare formule rituali:

“È sufficiente una comunicazione scritta che indichi l’importo dovuto, le rate non versate e l’intenzione di procedere in caso di ulteriore mancato pagamento”.

La diffida ha due effetti: interrompe la prescrizione e mette a disposizione dell’avvocato un documento chiaro da usare in sede di esecuzione.

Sequestro dei beni dell’ex

In alcune situazioni emerge il rischio concreto che l’ex disperda il proprio patrimonio per sottrarsi al pagamento dell’assegno. È una misura cautelare prevista dagli artt. 671 e seguenti c.p.c., che il giudice può concedere quando emergono indizi di comportamenti elusivi, come vendite improvvise, prelievi insoliti, passaggi di denaro verso parenti o conti intestati a terzi. Una volta autorizzato, il sequestro blocca auto, immobili, conti correnti, quote societarie o crediti, impedendo qualunque movimento fino all’avvio del pignoramento.

Come recuperare le somme quando l’ex non paga gli alimenti

Una volta cristallizzate le prove e messo al sicuro ciò che rischia di sparire, si avvia l’azione esecutiva.

Pignoramento dello stipendio o della pensione

Se l’ex partner è un lavoratore dipendente o percepisce una pensione, il pignoramento della retribuzione è la via più immediata per recuperare l’assegno non pagato. Perché agisce direttamente su una fonte di reddito stabile e permette di ottenere una trattenuta mensile costante senza dover dipendere dalla volontà del debitore.

Il percorso è questo: una volta ottenuto il titolo esecutivo (sentenza, omologa o accordo), si notifica un atto di pignoramento al datore di lavoro dell’ex. Da quel momento, il datore diventa “terzo pignorato” e ha l’obbligo di trattenere una quota mensile dello stipendio o della pensione per versarla al creditore, secondo quanto previsto dall’art. 545 c.p.c. Lo stesso meccanismo può essere utilizzato anche per il TFR e per il conto corrente: il pignoramento può colpire il saldo disponibile e le somme dovute a titolo di liquidazione.

Ordine diretto al datore di lavoro

Il giudice, su richiesta del coniuge creditore, può ordinare al datore di lavoro dell’ex di trattenere direttamente dalla busta paga l’importo dell’assegno e di versarlo al beneficiario. A differenza del pignoramento, non serve notificare un atto formale né attendere il calendario dell’esecuzione forzata. La recente riforma Cartabia ne ha rafforzato l’operatività, dando al giudice la possibilità di emettere l’ordine all’interno del procedimento di famiglia, anche in fase di urgenza, evitando al creditore l’onere di aprire un procedimento esecutivo separato.

Se l’ex è un lavoratore autonomo o socio di società?

Nei confronti di professionisti, artigiani e titolari di partita IVA che non dispongono di uno stipendio fisso, è possibile procedere con il pignoramento dei crediti verso i clienti. Si individua chi deve pagare una fattura e si ordina a quel cliente di versare direttamente al creditore le somme dovute, sostituendosi al debitore. Quando l’ex è socio di una S.r.l., si può intervenire su ciò che la società gli riconosce, cioé utili distribuibili, compensi da amministratore e, in alcuni casi, anche sulle quote sociali, a seconda della loro natura e valore.

Quando l’ex dichiara meno di quanto guadagna

Il quadro tipico è quello del lavoratore autonomo che riporta entrate minime mentre conduce una vita che suggerisce tutt’altro. A questo si aggiungono situazioni più articolate: compensi in nero, conti correnti intestati a parenti, somme che transitano su rapporti di famiglia, flussi finanziari che cambiano continuamente direzione per eludere gli obblighi di alimenti.

“Quando emergono discrepanze, il giudice può autorizzare indagini patrimoniali mirate”.

L’attività di accertamento può comprendere accessi alle banche dati, verifiche sui conti correnti, analisi di carte di credito e carte prepagate, controlli sui beni mobili e immobili, esame dei flussi di pagamento dei clienti. È un lavoro che serve a fotografare la capacità economica reale, anche quando l’ex tenta di presentarsi come privo di reddito o in condizioni di apparente difficoltà.

Quando posso denunciare l’ex per l’assegno non pagato

Bisogna innanzitutto capire se l’omissione ha inciso sui bisogni essenziali della famiglia. L’art. 570 c.p. punisce chi fa mancare i mezzi di sussistenza, ovvero, ciò che serve per vivere: vitto, alloggio, cure essenziali. Si applica quando il comportamento dell’obbligato mette in pericolo bisogni primari del figlio o dell’ex economicamente debole.

“La condotta rilevante è l’abbandono del sostegno materiale necessario a garantire una soglia di vita dignitosa”.

Invece, l’art. 570-bis c.p. riguarda il mancato versamento dell’assegno stabilito dal giudice. Se esiste un provvedimento che impone un importo periodico, e il debitore decide di non pagarlo pur avendo i mezzi economici, la condotta può integrare reato. Pertanto, perché si possa presentare una denuncia devono esserci due condizioni precise:

  • capacità economica reale: deve emergere che l’ex avrebbe potuto pagare;
  • dolo, cioè la volontà di sottrarsi all’obbligo.

Esistono situazioni in cui, pur mancando i pagamenti, il profilo penale non si attiva. Un esempio tipico è il pagamento parziale: se l’importo corrisposto è comunque sufficiente a coprire i bisogni essenziali del figlio, alcune pronunce hanno escluso la rilevanza penale in assenza di uno stato di bisogno effettivo. Un altro caso frequente è il versamento diretto al figlio, senza autorizzazione del giudice. Sul piano civile resta un inadempimento, ma non sempre assume rilievo penale, perché non si tratta di un “rifiuto” consapevole dell’obbligo, bensì di un adempimento irregolare.

Alimenti e mantenimento: cosa cambia per recuperare i soldi

La distinzione torna spesso nelle sentenze e nei decreti, ma nella pratica crea più confusione che utilità. Per chi subisce un’inadempimento l’effetto è identico, anche se sul piano giuridico i due istituti rispondono a logiche diverse:

  • gli alimenti (artt. 433 ss. c.c.) servono a garantire solo i bisogni essenziali, scattano in situazioni di reale bisogno e riguardano anche parenti diversi dal coniuge (fratelli, sorelle, ascendenti);
  • il mantenimento (art. 156 c.c., art. 337-ter c.c.) , mira a garantire un tenore di vita adeguato, non solo il minimo vitale e si applica in sede di separazione o divorzio.

Quando l’ex non paga non cambia quasi nulla sul piano civile. Perché conta solo una cosa: esiste un provvedimento del giudice? Se sì, quell’obbligo, sia di alimenti che di mantenimento, diventa titolo esecutivo, necessario per attivare i strumenti di recupero.

Tuttavia, la differenza rilevante emerge in sede penale. Infatti, se l’omissione degli alimenti incide sui mezzi di sussistenza, occorre dimostrare che il mancato pagamento ha messo il nucleo familiare in una situazione di reale difficoltà, tale da compromettere bisogni primari. In questa ipotesi il procedimento penale può attivarsi d’ufficio, ma solo nei casi in cui la legge lo consente, ad esempio quando la persona offesa è un minore o un soggetto incapace.
Quando invece è in gioco l’assegno di mantenimento stabilito dal giudice, ciò che deve essere provato è l’esistenza del provvedimento e la scelta volontaria dell’ex di non rispettarlo pur avendone la possibilità economica. In questi casi il procedimento prende avvio su impulso della parte che subisce il mancato pagamento.

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