È possibile ritirare una querela dopo averla presentata? Sì, ma solo con la remissione e spesso si arriva a un accordo economico
Una lite, una parola di troppo, un gesto che supera il limite e poi, il passo che sembra irreversibile - la querela presentata in Questura o in caserma. Ma è davvero tutto perduto? Può capitare che, col tempo, le tensioni si stemperino, emergano nuovi fatti, o semplicemente si scelga di perdonare chi ci ha ferito. Può essere d’aiuto l’istituto della remissione di querela.
Nella pratica forense, non è raro vedere la remissione di querela intrecciarsi con accordi economici, più o meno dichiarati: c’è chi, prima di rimettere la querela, chiede un risarcimento per i danni subiti, le spese sostenute o semplicemente per chiudere la vicenda senza ulteriori strascichi. Questo tipo di transazione non è solo frequente, ma trova anche una propria legittimità all’interno del nostro sistema giuridico, purché avvenga nella piena consapevolezza di entrambe le parti e senza forzature indebite.
Cosa significa rimettere una querela
Ritirare una querela significa:
“rinunciare all’azione penale avviata per un reato perseguibile a querela di parte.”
La remissione della querela, è disciplinata dall’art. 152 c.p., che stabilisce espressamente che la remissione estingue il reato, a condizione che sia accettata dalla persona querelata, salvo i casi in cui l’accettazione non è richiesta.
La remissione trova inoltre disciplina anche sul piano processuale, all’art. 340 c.p.p., che ne definisce le modalità formali, distinguendo tra remissione espressa e remissione tacita. La norma specifica che può avvenire sia in forma scritta sia verbalmente dinanzi all’autorità competente, e produce effetti immediati sull’azione penale.
Natura giuridica dell’atto di remissione
Dal punto di vista formale, la remissione della querela è un atto unilaterale non recettizio: non richiede in via generale l’accettazione dell’altra parte. Soprattutto, si tratta di un atto irrevocabile. Una volta compiuta, la remissione non può essere revocata, né annullata dalla stessa persona offesa.
È per questo che l’ordinamento non contempla alcuna “revoca della remissione della querela”: il legislatore ha voluto attribuire a questo atto un effetto definitivo e stabile, proprio per garantire certezza all’azione penale e ai rapporti tra le parti.
Quando si può rimettere una querela?
“La legge stabilisce che l’atto di remissione è ammesso solo fino a quando la sentenza che definisce il processo penale non sia divenuta irrevocabile.”
Ciò significa che il termine ultimo coincide con il momento in cui la sentenza non può più essere oggetto di impugnazione, ovvero dopo il passaggio in giudicato. Quindi, la remissione è ammissibile fino al momento in cui il giudice emette una sentenza irrevocabile. Prima di quel momento, la persona offesa può sempre decidere di porre fine all’azione penale nei confronti dell’imputato, esercitando il proprio diritto alla remissione.
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I casi in cui la remissione non è possibile
Tuttavia, non tutti i reati perseguibili a querela consentono la remissione. Esistono delle eccezioni per garantire una maggiore tutela delle vittime. Ad esempio, nei procedimenti per atti persecutori – stalking art. 612 bis c.p. e nei casi di violenza sessuale, la querela è irrevocabile. In queste ipotesi, una volta presentata, non può più essere ritirata.
La ratio di questa disciplina speciale è chiara: evitare pressioni o condizionamenti sulla persona offesa, specialmente nei contesti familiari o affettivi, dove il rischio di influenze indebite è elevato. Di conseguenza, anche qualora la vittima volesse rimettere la querela, la legge lo impedisce per garantire la prosecuzione del processo penale nell’interesse pubblico.
La remissione processuale ed extraprocessuale: come funziona
La remissione della querela può avvenire in due modalità distinte: processuale ed extraprocessuale. Entrambe sono valide ai fini dell’estinzione del reato, ma seguono percorsi procedurali diversi e devono rispettare requisiti formali specifici.
Nel caso della remissione processuale:
“La persona offesa compie l’atto direttamente davanti al giudice, durante un’udienza.”
È possibile che la remissione avvenga oralmente, mediante dichiarazione resa personalmente, oppure per il tramite di un avvocato munito di procura speciale. In entrambi i casi, è necessaria una verbalizzazione formale che ne attesti l’avvenuta manifestazione di volontà. Questa modalità è spesso preferita quando il processo è già in corso e si intende intervenire tempestivamente per porre fine all’azione penale.
Invece, quando il procedimento non è ancora incardinato in aula, si può procedere con la remissione extraprocessuale, che può essere effettuata anche al di fuori del contesto giudiziario. Questo accade, ad esempio, quando la persona offesa si reca presso un comando di polizia giudiziaria e lì manifesta la volontà di rimettere la querela.
La remissione tacita: quando il comportamento vale più delle parole
Il concetto di remissione tacita è stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha definito i limiti e le condizioni in cui un comportamento può assumere valore legale equivalente a una remissione espressa.
La Suprema Corte ha affermato che può considerarsi tacitamente rimessa una querela quando la persona offesa, regolarmente citata, non si presenta all’udienza e ciò avviene in un contesto in cui la sua presenza era necessaria per proseguire il giudizio (Cass. SS.UU. n. 31668/2016). Tale interpretazione consente di dare rilievo a comportamenti significativi della parte offesa, anche in assenza di una dichiarazione formale.
Quando serve l’accettazione nella remissione della querela?
La regola generale ex art. 152 c.p. è che la remissione estingue il reato se il querelato non manifesta espressamente il proprio dissenso.
In altre parole, non è richiesta un’accettazione formale: è sufficiente che il querelato non rifiuti la remissione per rendere l’atto efficace. La Corte di Cassazione ha ribadito che l’accettazione si può anche desumere da un comportamento concludente o, addirittura, dal silenzio dell’imputato, purché esso non sia equivoco (Cass. sent. n. 7072/2011).
Le conseguenze: estinzione penale e profili civili
L’effetto principale della remissione è la cessazione del procedimento penale. Tuttavia, non bisogna trascurare le conseguenze civili, che possono derivarne. L’art. 340 c.p.p. stabilisce che, salvo diverso accordo tra le parti, la remissione comporta anche la rinuncia ad ogni pretesa risarcitoria in sede civile.
Quindi, chi intende rimettere la querela deve essere pienamente consapevole del fatto che questo atto può incidere anche sul piano patrimoniale, non solo penale.
I consigli dell’avvocato
In materia di reati ex art. 612 bis c.p. (atti persecutori), la giurisprudenza ha confermato che la remissione extraprocessuale dinanzi alla polizia giudiziaria è valida, ma solo se raccolta secondo forma e trasmessa senza ritardi. Una remissione resa in caserma può essere nulla se l’agente omette la trasmissione formale alla Procura. In questo caso il giudice prosegue l’azione penale. Occorre dunque verificare sempre che venga redatto un verbale completo e firmato, con contestuale invio all’autorità giudiziaria.
Esiste poi il piano patrimoniale. Molti dimenticano che rimettere la querela può significare rinunciare anche alle pretese risarcitorie. È quanto accaduto ad una donna che senza assistenza legale, ha ritirato una querela per lesioni e solo dopo ha compreso di aver rinunciato anche alla possibilità di ottenere un risarcimento. Diversamente, un accordo extragiudiziale ben strutturato può consentire alla persona offesa di ottenere un risarcimento economico e il rimborso delle spese, subito prima del deposito della remissione.
In conclusione, la remissione della querela, se non correttamente gestita, può comportare conseguenze giuridiche e patrimoniali irreversibili: è sempre consigliabile farsi assistere da un legale esperto prima di formalizzarla.
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