Cos’è la proprietà indivisa? Diritti e obblighi della comproprietà

Giorgia Dumitrascu

5 Maggio 2025 - 13:34

Nella proprietà indivisa ciascun comproprietario ha diritto di usare il bene, può chiedere la divisione o cedere la propria quota senza consenso.

Cos’è la proprietà indivisa? Diritti e obblighi della comproprietà

Quando più persone condividono un bene indiviso, basta poco per litigare: chi decide l’uso? Chi può venderlo? Vediamo tutti i dettagli alla luce del Codice Civile.

Che cos’è la proprietà indivisa: significato e definizione

La proprietà indivisa è:

“la situazione giuridica in cui più soggetti condividono la titolarità di un bene senza divisione materiale, ciascuno con una quota ideale sull’intero”.

La disciplina è contenuta negli artt. 1100 e ss. c.c., che regolano la comunione dei beni. In altre parole, è una forma di titolarità di un bene nella quale più soggetti detengono in contemporanea diritti reali sulla cosa comune, senza che a ciascuno sia materialmente assegnata una parte determinata del bene stesso.

I tratti distintivi della proprietà indivisa sono:

  • mancanza di frazionamento materiale: la quota di ogni comproprietario si riferisce all’intero bene, non a una sua parte fisica;
  • coesistenza di diritti: ogni titolare può esercitare i diritti sul bene, compatibilmente con i diritti degli altri.

Come si distingue la proprietà indivisa dalla proprietà esclusiva?

La proprietà esclusiva attribuisce a un solo soggetto la titolarità piena e assoluta di un bene, consentendogli di godere e disporre del bene in modo esclusivo, nei limiti imposti dall’ordinamento (art. 832 c.c.). Invece, la proprietà indivisa riguarda la condivisione ideale del diritto tra più soggetti senza divisione materiale (art. 1100 c.c.).

Quando si parla di casa indivisa o comproprietà indivisa?

Il termine “casa indivisa” indica diverse situazioni:

  • in caso di successione ereditaria, quando più eredi subentrano nella proprietà di un immobile senza procedere alla divisione;
  • nell’acquisto congiunto di un immobile da parte di più soggetti;
  • a seguito di regime patrimoniale di comunione legale tra coniugi (artt. 177 e ss. c.c.).

Come si determinano e calcolano le quote di comproprietà indivisa?

In mancanza di diversa indicazione, le quote di comproprietà indivisa si presumono uguali tra tutti i partecipanti (art. 1101, co. 1, c.c.).
Tuttavia, le quote possono essere diverse se così risulta da titolo (ad esempio un contratto, una donazione o un testamento). Per il calcolo delle quote si segue la ripartizione proporzionale stabilita nel titolo costitutivo o, in mancanza, quella legale (in parti uguali).

“Ad esempio, se tre fratelli ereditano un immobile senza testamento. Le quote sono pari (1/3 ciascuno). Invece, se in una donazione, il donante attribuisce il 70% a un figlio e il 30% all’altro. Le quote seguono questa proporzione.”

Quando e come si può chiedere la divisione della comunione?

Ciascun comproprietario ha diritto di ottenere in ogni momento la divisione della comunione, salvo che vi sia un’espressa convenzione contraria di durata non superiore a 10 anni (art. 1111, co. 1, c.c.). La divisione può avvenire per accordo tra le parti – divisione consensuale – oppure su iniziativa giudiziale - divisione forzosa - quando l’accordo manca.

In caso di divisione consensuale, tutti i comproprietari si accordano sulla ripartizione materiale del bene o sulla vendita e successiva ripartizione del ricavato. L’accordo deve risultare da atto scritto, avente forma pubblica se il bene è un immobile (art. 1350 c.c.). Invece, se c’è la divisione giudiziale e, quindi, manca l’accordo, ogni condividente può proporre domanda giudiziale di divisione presso il tribunale competente (art. 1111 c.c.). Il giudice può disporre, la formazione di porzioni materiali, se il bene è divisibile, oppure la vendita all’asta e la ripartizione del prezzo, se il bene è indivisibile.

La proprietà indivisa riguarda solo i beni immobili?

La proprietà indivisa non riguarda solo gli immobili, sebbene questi costituiscano l’esempio più comune nella pratica quotidiana. In generale, ogni volta che più soggetti sono titolari in comunione di un diritto reale su un bene, senza che vi sia una materiale divisione delle rispettive porzioni, si configura una situazione di comproprietà indivisa. Pertanto, la proprietà indivisa può riferirsi a beni mobili, immobili, diritti reali diversi dalla proprietà (come l’usufrutto indiviso) e perfino a rapporti di natura personale aventi contenuto patrimoniale.

La comproprietà indivisa su conti correnti bancari, veicoli e beni mobili

La comproprietà indivisa si estende anche a diversi beni mobili e rapporti patrimoniali, tra cui:

  • conti correnti bancari: quando il conto è cointestato senza indicazione di quote distinte, si presume una comunione indivisa (art. 1854 c.c.), salvo prova contraria. Ciascun intestatario può operare singolarmente sul conto, fermo restando il diritto degli altri sulla quota;
  • veicoli: più soggetti possono risultare comproprietari indivisi di un’autovettura o di altro veicolo registrato al PRA. Anche in questo caso, salvo accordi particolari, il diritto si esercita in comunione indivisa;
  • altri beni mobili: oggetti d’arte, collezioni, titoli azionari non dematerializzati, sono esempi di beni che possono essere detenuti in comproprietà indivisa.

Diritti e obblighi nella comproprietà indivisa

Nella comproprietà indivisa ciascun contitolare ha diritto di usare il bene comune, deve contribuire alle spese di gestione e può cedere liberamente la propria quota (artt. 1102 e ss. c.c.).

Chi può utilizzare il bene in comproprietà e a quali condizioni?

Ogni comproprietario può servirsi del bene comune, purché:

  • non ne alteri la destinazione;
  • non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.

L’uso deve quindi avvenire in modo compatibile e proporzionato rispetto alla natura della comunione. È vietato un utilizzo esclusivo che privi gli altri comproprietari della possibilità di godimento. Se uno dei comunisti impedisce o limita l’uso altrui, gli altri hanno diritto a chiedere la cessazione dell’abuso e ottenere, se del caso, il risarcimento del danno. Anche se ogni comproprietario possa avvalersi dell’intero immobile, ma per affittare una parte serve l’accordo di tutti. Senza consenso, la locazione non è valida.

La destinazione d’uso del bene è un limite invalicabile: ad esempio, se l’immobile comune è adibito a civile abitazione, nessun comproprietario può trasformarlo in locale commerciale senza il consenso degli altri.

Come si ripartiscono le spese di gestione e manutenzione del bene comune?

In base all’art. 1104 c.c., tutti i comunisti:

“sono obbligati a concorrere alle spese per la conservazione e la gestione della cosa comune, nonché agli oneri derivanti dall’amministrazione ordinaria e straordinaria.”

Il contributo è proporzionale alla quota di proprietà di ciascun condividente, salvo diverso accordo. È quindi irrilevante la misura dell’utilizzo effettivo: anche chi non usa materialmente il bene deve partecipare alle spese, se non ha formalizzato una diversa pattuizione.

Le principali spese di gestione includono la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile, imposte, tasse e contributi relativi al bene, i costi di amministrazioni, se previsti. Il mancato pagamento delle spese può legittimare gli altri comproprietari ad agire giudizialmente per ottenere la quota dovuta.

È possibile cedere o vendere la propria quota di comproprietà indivisa?

L’art. 1103 c.c. riconosce a ciascun comunista il diritto di disporre liberamente della propria quota indivisa. Questo implica la possibilità di vendere la quota a terzi, donare la quota o costituire diritti reali limitati (es. usufrutto) sulla propria quota. Non è invece consentito disporre materialmente di una parte specifica del bene, poiché la divisione fisica richiede il consenso o la procedura di scioglimento della comunione.

La vendita della quota:

  • non necessita del consenso degli altri comproprietari, salvo patti contrari;
  • attribuisce al cessionario gli stessi diritti e obblighi del cedente;
  • può comportare, nella pratica, il diritto di prelazione in favore degli altri comunisti solo se previsto da convenzioni particolari (non esiste un diritto di prelazione legale nella comunione ordinaria).
    È importante ricordare che l’acquirente della quota indivisa subentra in automatico nella posizione giuridica del cedente senza necessità di ulteriore accordo.

Si può obbligare un coerede o comproprietario a vendere l’immobile indiviso?

In linea di principio, nessun comproprietario può essere costretto a mantenere la comunione contro la propria volontà, come stabilito dall’art. 1111 c.c. Tuttavia, nessun coerede o comunista può essere obbligato a vendere la propria quota o l’intero immobile, salvo che, non si riesca a procedere a una divisione materiale, perché il bene è indivisibile. In tal caso, il giudice può ordinare la vendita forzata del bene e la suddivisione del ricavato tra i comproprietari secondo le rispettive quote.

Non è, invece, ammissibile costringere uno dei comproprietari a vendere esclusivamente la propria quota a un altro comunista senza il suo consenso. L’alternativa in caso di contrasto rimane la divisione giudiziale, non l’imposizione coattiva di un trasferimento diretto.

Si può uscire da una comproprietà indivisa senza il consenso degli altri?

Nella comproprietà indivisa ciascun titolare può uscire dalla comunione chiedendone lo scioglimento o cedendo la propria quota, senza bisogno del consenso degli altri (art. 1111 c.c.)

È lecito vendere la propria quota a terzi?

Ciascun comunista ha la piena facoltà di cedere la propria quota a terzi, senza dover ottenere il consenso degli altri comproprietari, in virtù di quanto disposto dall’art. 1103 c.c.:

la vendita della quota comporta il subentro del terzo acquirente nella posizione giuridica del cedente e il trasferimento di tutti i diritti e obblighi relativi alla quota acquistata.

Il trasferimento deve essere formalizzato con atto pubblico se ha ad oggetto beni immobili, al fine di renderlo opponibile ai terzi e agli stessi comproprietari.

A differenza di quanto previsto in materia di comunione ereditaria su beni indivisi (dove il diritto di prelazione legale esiste ai sensi dell’art. 732 c.c.), nella comunione ordinaria non è riconosciuto un diritto di prelazione a favore degli altri contitolari, salvo espressa pattuizione.

Come funziona la gestione condominiale in caso di casa indivisa?

La gestione della casa indivisa segue le regole della comunione ordinaria fino a quando l’immobile non presenti le caratteristiche tipiche del condominio. Nel diritto italiano, il Codice civile distingue infatti tra comunione ordinaria (artt. 1100 ss. c.c.) e condominio negli edifici (artt. 1117 ss. c.c.), pur riconoscendo punti di contatto tra i due istituti. La gestione in comunione implica che tutti i comproprietari partecipino all’uso e alla conservazione del bene comune, secondo i principi di proporzionalità e correttezza sanciti dagli articoli 1102 e 1104 c.c. Tuttavia, quando l’immobile si articola in parti di proprietà esclusiva e parti comuni, la disciplina cambia.

Quando e come una comproprietà indivisa si trasforma in condominio?

La trasformazione della comunione in condominio avviene al verificarsi di determinate condizioni, senza necessità di accordi formali. L’art. 1117 c.c. il condominio nasce quando:

  • in un edificio vi sono unità immobiliari (appartamenti, negozi, uffici) appartenenti in proprietà esclusiva a soggetti diversi;
  • esistono parti comuni dell’edificio, come il suolo, le fondamenta, il tetto, le scale, l’androne, i cortili.

Non occorre un atto costitutivo: la coesistenza di proprietà esclusive e parti comuni determina di diritto l’applicazione della disciplina condominiale. Pertanto, in un edificio inizialmente indiviso, la stipula di atti di vendita o di assegnazione che attribuiscono a soggetti diversi la titolarità esclusiva di singole unità immobiliari comporta la nascita del condominio e l’automatica applicazione delle norme speciali.

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