Gli studiosi hanno identificato i soggetti che più di tutti rischiano di contrarre forme gravi di coronavirus nella Fase 2. Ecco chi sono e come proteggerli.
Un nuovo studio condotto dall’ospedale San Raffaele di Milano ha identificato i soggetti che nella Fase 2 rischiano maggiormente di contrarre forme gravi di coronavirus. I ricercatori affermano che i risultati ottenuti saranno utili a mettere al sicuro i pazienti più vulnerabili per affrontare la Fase 2 in sicurezza.
L’obiettivo infatti è mettere in atto una strategia di prevenzione per evitare nuove ondate di pazienti gravi e un rinnovato sovraccarico delle terapie intensive negli ospedali.
Coronavirus, soggetti a rischio: chi proteggere nella Fase 2
Gli studiosi del San Raffaele hanno scoperto che tra i soggetti più a rischio non ci sono solo persone anziane o pazienti con tumore maligno in corso, ma anche chi soffre di ipertensione arteriosa o di una malattia coronarica.
Ma c’è di più: secondo le analisi di laboratorio i pazienti più esposti a forme gravi e complicazioni hanno un numero basso di linfociti nel sangue, poiché esauriti da una risposta immunitaria fuori misura, e valori elevati di alcuni marcatori che misurano la presenza di una reazione iper-infiammatoria.
Gli esperti sono giunti a questa scoperta dopo uno studio clinico osservazionale durato due mesi. La ricerca è stata condotta su 1000 pazienti dei reparti e delle terapie intensive COVID-19 dell’ospedale di Milano.
A guidare il team di ricerca è stato Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare, e il professor Fabio Ciceri, vice direttore scientifico per la ricerca clinica e primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di Midollo.
Fase 2 in sicurezza: la strategia di prevenzione
Secondo i ricercatori questi risultati scientifici sono utili per mettere in atto una buona strategia di prevenzione e cura dei pazienti a rischio. “Attraverso gli indicatori che abbiamo individuato possiamo riconoscere in anticipo i pazienti che svilupperanno la forma più grave della patologia” ha spiegato Fabio Ciceri.
“Per fare un esempio, concreto, un iperteso con più di 65 anni, a fronte di un episodio febbrile non deve essere lasciato a casa nella speranza di un’evoluzione positiva del quadro clinico. Deve essere tempestivamente inserito in un percorso di diagnosi, monitoraggio e cura” ha aggiunto Alberto Zangrillo.
Lo studio clinico però suggerisce che, per attuare un piano vincente di prevenzione e avviarsi alla tanto attesa Fase 2 in sicurezza, è necessario costruire un’alleanza forte tra la medicina del territorio, che basandosi sul rapporto diretto coi pazienti può intervenire tempestivamente evitando ricoveri e ondate di decessi, e gli ospedali ad alta specializzazione, per la loro esperienza della malattia e i farmaci innovativi a disposizione.
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