Controlli fiscali, c’è anche il tovagliometro: come funziona e chi rischia

Anna Maria D’Andrea

17 Giugno 2021 - 17:17

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C’è anche il tovagliometro tra gli strumenti usati dall’Agenzia delle Entrate per i controlli fiscali. Vediamo come funziona e chi rischia.

Controlli fiscali, c’è anche il tovagliometro: come funziona e chi rischia

Controlli fiscali, all’Agenzia delle Entrate non sfugge nulla: dal consumo di tovaglioli o farina, fino alla quantità di biancheria acquistata, ogni elemento è utile per scovare chi non paga le tasse.

Negli ultimi giorni si è tornati a parlare del redditometro, strumento con il quale si confrontano le spese del contribuente con i redditi dichiarati, al fine di individuare possibili anomalie.

Non c’è però solo il redditometro: è recentemente tornato agli onori della cronaca il tovagliometro, strumento che secondo la Corte di Cassazione è valido e affidabile nell’ambito dell’accertamento analitico-induttivo.

A fornire i dettagli della sentenza n. 11593 del 4 maggio 2021 è un commento pubblicato su FiscoOggi, la rivista dell’Agenzia delle Entrate. Vediamo quindi cos’è il tovagliometro, strumento utilizzato per i controlli nell’ambito della ristorazione.

Controlli fiscali, c’è anche il tovagliometro: come funziona e chi rischia

Il tovagliometro è una delle armi con le quali il Fisco può individuare presunti casi di evasione fiscale.

Al pari di altri strumenti simili, si pensi allo shampometro o al farinometro, il meccanismo è semplice: viene confrontato il consumo relativo ad un determinato tipo di bene, ritenuto caratterizzante per l’attività esercitata, con i redditi dichiarati.

È evidente che il tovagliometro è uno degli strumenti utilizzabili in caso di controlli su soggetti che svolgono attività legate alla ristorazione, e per la Corte di Cassazione si tratta di uno strumento la cui validità nell’ambito dell’accertamento analitico induttivo è ormai assodata.

Come evidenziato nella sentenza del 4 maggio 2021, è legittimo l’accertamento induttivo sul reddito dichiarato, operato determinando i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo di tovaglioli, al pari di altri beni caratterizzanti l’attività.

Considerando che per ogni pasto ciascun cliente ne utilizza uno soltanto, è quindi possibile calcolare il numero di pasti consumati guardando al numero di tovaglioli utilizzati, tenendo conto di ricevute e fatture d’acquisto, ovviamente considerando anche che una determinata quantità di questi può essere stata utilizzata per scopi diversi.

Ecco quindi che si parla di tovagliometro, una delle armi con le quali l’Agenzia delle Entrate può determinare analiticamente i redditi del contribuente sotto esame per individuare possibili condotte fraudolente.

Corte di Cassazione - sentenza n. 1593 del 4 maggio 2021
Tovagliometro, scarica la sentenza in pdf della Corte di Cassazione

Dal tovagliometro allo shampometro: consumare troppo insospettisce il Fisco

Il principio sul quale si basano strumenti come il tovagliometro è chiaro: se si consumano troppi beni tipici della propria attività, ma si dichiarano redditi non proporzionati, c’è qualcosa che non quadra.

Il tovagliometro, che utilizza il numero di tovaglioli consumati per determinare il totale dei coperti, è solo l’ultimo di una serie di metodologie simili.

C’è lo shampometro, utilizzato per i parrucchieri, che conta i flaconi di shampoo utilizzati per servire la propria clientela, così come c’è il caffettometro, utilizzato per i bar. Per le attività alberghiere non si può non menzionare poi il lenzuolometro, con il quale è messa a setaccio la biancheria acquistata.

Insomma, il confronto tra consumi e redditi resta una delle vie prioritarie per individuare possibili fenomeni di evasione. Al contribuente spetta il compito di fornire prove idonee a confutare le pretese del Fisco.

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