Come rompere il circolo vizioso fra cambiamenti climatici e instabilità finanziaria

Giuseppe Montalbano

02/07/2020

27/12/2022 - 14:47

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Il rapporto di Finance Watch avanza una proposta complessiva e ambiziosa per «rompere il circolo vizioso tra finanza e cambiamento climatico».

Come rompere il circolo vizioso fra cambiamenti climatici e instabilità finanziaria

La regolamentazione bancaria in Europea può e deve mettere fine al circolo vizioso che lega fra loro il mondo della finanza e il riscaldamento globale.

Da una parte, infatti, gli investimenti nei combustibili fossili alimentano l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico; quest’ultimo, dall’altra parte, minaccia la stabilità finanziaria attraverso le sue ripercussioni economiche e sociali, diventando un cruciale fattore di crisi.

Secondo lo studio realizzato da Finance Watch, l’approccio sinora adottato dalle autorità europee per una finanza sostenibile risulta largamente inadeguato, in quanto basato su una complessa e incerta modellizzazione dei rischi. L’Unione Europea, al contrario, è già in possesso di strumenti normativi più efficaci e diretti per arrestare questa spirale distruttiva che mette in pericolo il nostro futuro.

Il circolo vizioso tra finanza e cambiamento climatico

Il rapporto di Finance Watch, l’organizzazione non governativa europea che si batte per una “finanza al servizio della società”, mette a nudo il circolo vizioso che lega fra loro finanza globale e cambiamenti climatici.

Banche e società di investimento sono fra le principali finanziatrici dell’estrazione e raffinamento di quei carburanti fossili che costituiscono la maggiore fonte inquinante responsabile del surriscaldamento globale, a cominciare dal carbone.

Per questo l’accordo delle Nazioni Unite sul clima sottoscritto a Parigi del 2015 impegnava gli Stati a una riduzione drastica della produzione di energia da fonti fossili e dei relativi livelli di anidride carbonica nell’atmosfera. Le grandi banche hanno un ruolo cruciale in questa dinamica.

Secondo uno studio recente, 35 gruppi bancari internazionali hanno investito circa 2.700 miliardi di dollari nel settore delle energie fossili durante i quattro anni successivi all’accordo di Parigi.

Continuando a incanalare investimenti nelle fonti fossili, il sistema finanziario contribuisce così in maniera decisiva a mantenere ed espandere il tasso di inquinamento globale. I cambianti climatici così indotti si ripercuotono a loro volta sull’economia globale, colpendo i settori primari fino a scaricarsi sullo stesso settore finanziario che aveva fornito i capitali alle produzioni più inquinanti, rendendo più vulnerabili le banche e i mercati.

In questo modo instabilità finanziaria e surriscaldamento globale si nutrono a vicenda: la finanza rende possibile quel cambiamento climatico che finirà per destabilizzare essa stessa.

Una spirale distruttiva messa in evidenza dalla stessa Commissione europea nelle linee guida per la rendicontazione dei rischi legati al cambiamento clima, pubblicate nel luglio 2019.

Azioni più decisive e urgenti per una finanza sostenibile

Con l’agenda per una finanza sostenibile e il “Green Deal”, le autorità europee hanno riconosciuto la necessità e urgenza di rompere questo circolo vizioso.

Secondo gli esperti di Finance Watch, tuttavia, l’approccio sinora adottato in sede europea nei confronti del sistema bancario risulta sin troppo morbido e largamente inefficace a garantire il rispetto degli accordi sul clima delle Nazioni Unite. Le linee di intervento dell’UE per una finanza sostenibile hanno infatti puntato all’introduzione di requisiti di trasparenza dei rischi ambientali legati agli investimenti e alla loro relativa modellizzazione attraverso simulazioni di scenari di crisi.

Simili stress test intendono valutare i diversi scenari in cui i cambiamenti climatici potrebbero impattare sul sistema finanziario, quale base per determinare l’effettivo rischio incorso dalle banche e le contromisure possibili. Secondo il rapporto dell’organizzazione non governativa, però, tali simulazioni non possono arrivare a conclusioni affidabili in merito alla solvibilità delle banche di fronte alle crisi provocate dai cambiamenti climatici.

La grande varietà e imprevedibilità di fattori in campo in simili scenari avversi rende tale sforzo di modellizzazione estremamente complesso e dai dubbi risultati, compromettendo la tempestività ed efficacia di ogni intervento preventivo. I limiti della regolamentazione prudenziale europea si riassumono così in un paradosso: i decisori riconoscono l’estrema difficoltà, al limite dell’impossibile, di costruire modelli affidabili sui rischi derivanti dal cambiamento climatico, ma allo stesso tempo non intendono rinunciare ad essi prima di attuare ogni azione concreta.

Il fattore tempo gioca però a sfavore di un simile orientamento: data l’accelerazione del processo di surriscaldamento globale e dei suoi effetti sul mutamento climatico, agire tardivamente e rinviare gli interventi regolatori equivale ad aggravare ulteriormente la situazione.

Per questo Finance Watch propone un deciso cambio di passo, a partire dagli strumenti e margini di azione di cui la regolamentazione finanziaria europea è già in possesso. Il punto di partenza è assumere pienamente il principio precauzionale stabilito dall’articolo 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea anche nell’ambito dei cambiamenti climatici, ponendo la necessità di azioni preventive di fronte a possibili rischi di sistema.

Lo strumento più immediato ed efficace per una simile azione preventiva è rappresentato per la ONG dalla definizione dei requisiti di capitale che le banche devono garantire in base alla ponderazione dei rischi dei propri investimenti in quei casi in cui, appunto, l’entità perdite sia difficile da valutare anche se risulta altamente probabile che si verificheranno prima o poi.

In sostanza quindi si tratta di applicare un alto coefficiente di rischio, tale da richiedere quindi un maggiore accantonamento di capitale, per i prestiti e gli investimenti nel settore delle fonti fossili, così da disincentivarli nell’immediato. Il calcolo del rischio e del capitale richiesto non sarebbe legato all’elaborazione di modelli e scenari, ma a una soglia fissa individuata in via precauzionale e calcolata in maniera omogenea per le diverse tipologie di banche e società di investimento.

Il rapporto invita quindi la Commissione a introdurre simili misure in via precauzionale sulla base di quanto l’attuale normativa prudenziale già prevede, puntando a istituzionalizzarle in via definitiva alla prossima revisione generale della regolamentazione sui requisiti di capitale per le banche, prevista per la fine del 2020. Data la natura globale del problema, l’Unione dovrebbe quindi farsi promotrice di un approccio più intrusivo e deciso nelle istituzioni di cooperazione internazionale in ambito finanziario: in primo luogo il comitato di Basilea e il Consiglio per la stabilità finanziaria.

Sul piano regolamentare, si tratta a ben vedere di soluzioni percorribili nell’immediato, proprio perché basate sull’attuale impianto normativo prudenziale, tali quindi da rispondere all’urgenza richiesta rispetto ai tempi lunghi e incerti dell’approccio basato sulla modellizzazione dei rischi. Sul piano politico, d’altra parte, un simile intervento avrebbe come presupposto la forte volontà politica dei governi europei di attuare delle scelte tali da limitare nell’immediato le possibilità di investimento delle proprie banche, forzandole a reindirizzare il credito lontano da quelle fonti fossili che rappresentano ancora un settore assai remunerativo.

Una scelta di campo che metterebbe la finanza al servizio di un futuro sostenibile, contro prospettive di guadagno a breve che nel lungo periodo si ritorceranno contro, avendo alimentato quel “circolo vizioso” tra finanza e cambiamento climatico.

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