Chirurgia estetica: per quali interventi non si paga l’Iva

Nadia Pascale

28 Ottobre 2022 - 17:54

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Brutte notizie per chi vuole sottoporsi a operazioni di chirurgia estetica: l’esenzione Iva può applicarsi solo in limitati casi, ecco di quali si tratta.

Chirurgia estetica: per quali interventi non si paga l’Iva

Il ricorso alla chirurgia estetica è sempre più frequente, tanto che in Italia ci sono dei trattamenti molto richiesti per migliorare il proprio aspetto.

Nella maggior parte dei casi le prestazioni sono soggette a Iva, ma vi sono casi in cui la stessa non è dovuta perché viene classificata come prestazione medica con finalità terapeutica.

Gli interventi volti a migliorare l’aspetto fisico di una persona possono infatti avere risvolti pratici anche sulla salute, migliorandola. Proprio da tale natura ibrida nasce la difficoltà nel determinare se agli interventi debba essere applicata l’esenzione Iva prevista dall’articolo 10, n.18, del dpr 633 del 1972.

Chirurgia estetica ibrida: vanità o finalità terapeutica?

Ci sono operazioni chirurgiche da considerare di volta in volta come prestazioni a mero contenuto cosmetico, oppure a tutela della salute. Ricadono in questa duplice natura interventi come la blefaroplastica che solleva la palpebra cadente. Questo migliora l’estetica del volto ringiovanendolo, ma di fatto in molti casi va a ripristinare il campo visivo compromesso dal cedimento della palpebra. Possono avere natura ibrida anche le operazioni al seno come la mastoplastica additiva o riduttiva e la rinoplastica.

Proprio riguardo a tale classificazione, sono sorte numerose controversie che la Corte di Cassazione ha provato a dirimere con l’ordinanza 26906 del 13 settembre 2022 in cui chiarisce qual è il discrimine e quindi per quali interventi di chirurgia estetica non si paga l’Iva.

A rendere difficile l’interpretazione delle norme è il concetto di salute, perché si fa sempre più strada l’idea che in esso debba essere compreso anche il benessere psicologico che può essere leso, fino al punto di essere invalidante, da un difetto fisico o dalla mancata accettazione anche nell’ambiente sociale di riferimento di un determinato inestetismo.

Il caso

In seguito a verifiche della Guardia di Finanza nei confronti di un medico chirurgo plastico, è emerso che lo stesso aveva compilato ricevute per le prestazioni e che nelle stesse non era stata addebitata l’Iva. Si trattava di interventi come lipoaspirazione, asportazione di tessuto adiposo peripalpebrale, lipofilling, ritidectomia e simili.

In relazione a ogni intervento, il chirurgo aveva qualificato lo stesso come «trattamento sanitario con scopo diagnositco o curativo», oppure come trattamento estetico con scopo cosmetico.

L’ufficio, in contrasto con la classificazione del medico, per queste prestazioni aveva provveduto al recupero dell’Iva non versata con aliquota ordinaria (22%), ritenendo che l’esenzione di imposta fosse dovuta solo nel caso di trattamenti finalizzati a diagnosticare, curare o guarire da malattie anche di carattere psicologico, ovvero tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone.

Il chirurgo avverso questo provvedimento ha proposto ricorso e la Commissione tributaria provinciale lo ha accolto. Questa ha basato la sua decisione sul fatto che solo al medico deve riconoscersi la possibilità di valutare la natura di un intervento. Infatti anche un’operazione meramente estetica può assumere una finalità terapeutica sotto il profilo psicologico.

L’ufficio propone il ricorso presso la Commissione Tributaria Regionale e questa sposa la tesi del giudice di primo grado, rigettandolo. Alla base di questa decisione vi è il postulato che il concetto di salute e di malattia non può essere limitato a un mero fatto fisico accertabile con strumenti diagnostici e che, nella società attuale, l’estetica di un soggetto rappresenta una componente importante per il benessere psico-fisico e mentale, integrando il concetto di salute.

I giudici di secondo grado hanno accolto come cause di malessere la vergogna, la bassa autostima, l’incapacità di relazionarsi con gli altri per un difetto fisico, e hanno così ampliato il concetto di salute.

Corte di Cassazione: l’esenzione Iva è un’eccezione e di conseguenza l’estensione deve essere interpretata in modo restrittivo

L’ufficio propone quindi ricorso in Cassazione e la Suprema Corte ribalta l’interpretazione estensiva data dal giudice di secondo grado.

Pur riconoscendo che, in effetti, una mastoplastica riduttiva non è solo un intervento volto a modellare il seno, ma consente di ridurre i problemi di postura, che la blefaroplastica può migliorare il campo visivo, la rinoplastica migliora la funzione respiratoria e così altri interventi, è necessario comunque restringere il campo dell’esenzione Iva.

La Corte delimita il campo delle prestazioni sanitarie esenti da Iva indicate nell’articolo 10 del dpr 633 del 1972: dal punto di vista soggettivo trattasi di prestazioni rese da operatori sottoposti a vigilanza ai sensi dell’articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto il 27 luglio 1934, n.1265.

Dal punto di vista oggettivo l’esenzione deve ritenersi valida per prestazioni aventi a oggetto:

  • diagnosi (ad esempio l’asportazione di una porzione di tessuto al fine di eseguire una biopsia);
  • cura;
  • riabilitazione.

La Corte inquadra la tematica all’interno anche del diritto dell’Unione Europea (direttiva 2006/112/CE) e sottolinea che rientrano tra le prestazioni esenti quelle che:

  • mirano a diagnosticare, trattare, curare o guarire malattie o problemi di salute, mantenere o ristabilire la salute delle persone;
  • hanno finalità terapeutica.

Di conseguenza le semplici convinzioni soggettive che sorgono nella mente di una persona non sono rilevanti al fine di determinare se lo scopo dell’intervento è terapeutico (il fatto che una donna si convinca di avere bisogno di un seno più grande non basta a definire l’intervento terapeutico). Inoltre, visto che l’esenzione dall’Iva rappresenta un’eccezione e non la regola ordinaria, le esenzioni devono essere interpretate restrittivamente.

Fatta questa premessa, la Corte di Cassazione ribadisce che spetta al contribuente che vuol far valere il regime di esenzione dimostrare i presupposti che legittimano la richiesta del trattamento fiscale agevolativo.

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