Nonostante la radicata presenza nel tessuto produttivo delle aziende con meno di 49 addetti, l’occupazione si sta spostando verso i grandi gruppi.
Per l’Italia c’è una certa vivacità in fatto di fusioni e acquisizioni. Non tanto per i volumi, cioè per il numero delle operazioni (che risultano in contrazione): l’attenzione è soprattutto sui valori. Nei primi nove mesi del 2025 le operazioni globali di M&A (mergers and acquisitions) hanno raggiunto un valore di circa 1.900 miliardi di dollari, in crescita del 10% rispetto allo stesso periodo del 2024.
Nel caso dell’Italia, invece, il confronto annuale dice che l’incremento è stato del 47%, ossia quasi cinque volte superiore. L’impressione, comunque, è che sia finita la stagione delle operazioni su larga scala, per fare spazio a una nuova fase di “deal” più selettivi, strategici e spesso anche più complessi.
Con una fusione, due o più imprese si uniscono in una nuova società, mentre tramite una acquisizione un’impresa ottiene il controllo di un’altra azienda, ossia la maggioranza del suo capitale sociale. Sono operazioni con ampie ricadute economiche e industriali, ma anche occupazionali, dato che naturalmente coinvolgono i lavoratori. Se aumentano gli accordi di questo tipo, le conseguenze non tardano ad arrivare: negli ultimi anni, nonostante la tradizionale e ampia diffusione delle piccole imprese, sono sempre di più gli italiani che si ritrovano a lavorare per aziende di medie o grandi dimensioni. [...]
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