Altro che tassa sugli extraprofitti. Le banche italiane protestano contro il Fisco italiano, facendo notare come da dieci anni paghino queste extra tasse.
Altro che tassa sugli extraprofitti e contributi di solidarietà vari. Le banche italiane protestano contro il Fisco italiano, facendo notare come da dieci anni paghino le extra tasse. Parola di Antonio Patuelli, numero uno dell’ABI (Associazione bancaria italiana).
In audizione al Senato presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario, finanziario e assicurativo, Patuelli non ha affrontato soltanto la questione delle tasse.
Il presidente dell’ABI ha risposto anche a domande relative ai dossier di risiko bancario, decidendo tuttavia di tenere la bocca ben cucita, così come ha commentato la minaccia rappresentata dai dazi reciproci, per ora messi in pausa, annunciati dalla presidenza americana di Donald Trump.
Ulteriori commenti sono stati rilasciati sull’impianto normativo costituito dalle regole di Basilea e sulla necessità che in Europa venga completata la tanto auspicata ma tuttora lontana Unione bancaria.
Non sono mancate dichiarazioni anche sull’avvento dell’euro digitale: obiettivo che, secondo il banchiere, deve essere perseguito avendo cura tuttavia di non ledere gli interessi delle banche italiane.
Troppe tasse a carico delle banche italiane? Il precedente della tassa sugli extraprofitti di Meloni
Ma veniamo alla questione spinosa che riguarda le banche italiane: quella delle tasse che, con il governo Meloni, poco più di due anni fa, ha riempito pagine intere dei quotidiani nazionali e che ha scatenato il panico per il futuro del settore, in Italia: quella della tassa sugli extraprofitti degli istituti di credito, che è stata sponsorizzata in diverse occasioni dalla stessa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Tassa che, dopo aver scatenato sell feroci a Piazza Affari contro i titoli del settore bancario italiano, è stata del tutto annacquata.
Il governo Meloni è poi tornato alla carica con la necessità di colpire i cosiddetti extraprofitti (che nel dizionario finanziario non sono pervenuti) delle banche per mezzo di Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e delle Finanze, che più volte ha lanciato stoccate contro gli utili a quanto pare eccessivi del comparto.
Come al solito, alla fine la montagna ha partorito un topolino, con il cosiddetto contributo di solidarietà.
Extraprofitti banche, Patuelli (ABI): non esistono nella Costituzione
Oggi, nel riprendere la questione di quella tassa che è stata ampiamente dibattuta nell’arena della politica italiana, Patuelli, interpellato sui presunti extraprofitti che le banche italiane avrebbero realizzato ha ricordato che “ gli extraprofitti non esistono costituzionalmente ”.
Piuttosto, ha fatto notare, “esiste la proporzionalità delle aliquote e quelle le decide il Parlamento ”.
Detto questo, facendosi portavoce delle banche italiane, Patuelli ha fatto notare un particolare, che a molti sarà sfuggito:
In Europa “le banche italiane”, ha sottolineato, “ sono le uniche che hanno due addizionali ”.
Praticamente, ha ricordato, “ solo noi paghiamo dal 2016 l’addizionale IRES e l’addizionale IRAP ”.
Qualcosa difficile da concepire e da accettare, a quanto pare, visto che Patuelli ha chiesto: “Perché solo noi, che tra l’altro non abbiamo mai impugnato davanti alla Corte Costituzionale per spirito di servizio? ”
“Attenzione” però, ha continuato il presidente dell’Associazione bancaria italiana: “la Corte costituzionale ha una consolidata serie di sentenze che dice che le imposte straordinarie sono tali se sono eccezionali e straordinarie, non se sono continue ”.
Patuelli ha risposto così a tutte quelle illazioni, secondo cui le banche italiane starebbero accumulando ingiustamente gli extraprofitti, ricordando che “ le banche stanno già pagando da un decennio extra tasse ” e facendo notare che queste extra tasse sono state pagate dagli istituti di credito italiani “ anche nei momenti di maggiore difficoltà ”, lanciando un altro attenti:
“Non possiamo allontanarci dalla concorrenza del bacino europeo”, ha avvertito.
Patuelli lancia avvertimento su disparità nell’applicazione delle regole di Basilea 3
E proprio a proposito di concorrenza non poteva non essere menzionato l’effetto delle regole di Basilea 3.
Il punto, infatti, è che le “regole prudenziali per le banche, cosiddette di Basilea 3+, a lungo negoziate e infine concordate fra le Banche Centrali d’Occidente, non stanno entrando in vigore contemporaneamente, ma stanno subendo differenziate applicazioni che alterano l’uguaglianza delle condizioni di partenza della concorrenza e della stabilità bancaria, economica e finanziaria ”.
Come se non bastasse, questa disparità nell’applicazione della normativa di Basilea 3 si è palesata in una fase storica in cui il mondo fa fronte ai dazi di Trump che “contraddirebbero le libertà regolate dei mercati innanzitutto in Occidente, a cominciare dal funzionamento delle banche”.
Non è mancato l’alert sul rischio che, con spinte potenzialmente recessive a causa dei dazi di Trump, le banche italiane finiscano con l’assistere a una erosione della loro qualità del credito, sulla scia di un nuovo potenziale aumento dei crediti deteriorati (NFP, Non Performing Loans).
Patuelli ha riassunto le condizioni attuali, sottolineando che “viviamo una fase assolutamente inedita di grandi incertezze e tensioni internazionali e di troppi alti costi energetici soprattutto per le imprese e le famiglie italiane ” e che la soluzione non è solo quella di scongiurare nuovi dazi:
Non è sufficiente “cercare di evitare nuovi dazi”; è necessario, anche, “divenire più dinamici, semplificando, non certo abolendo, innanzitutto per il mondo bancario, le normative europee e italiane in un quadro di certezza prospettica delle regole”.
Necessario dunque agire cercando di riconsiderare i fattori economici al fine di “ favorire, fiscalmente e con adeguate garanzie, più cospicui e stabili investimenti produttivi del risparmio e degli utili delle imprese ”.
Tra l’altro, riguardo allo spettro degli NPL, il presidente dell’ABI ha per l’appunto avvertito che, nel caso in cui “si sviluppassero guerre commerciali, le banche potrebbero fortemente soffrirne, i crediti potrebbero deteriorarsi maggiormente, aumenterebbero le incertezze per gli investimenti e complessivamente per le imprese, che in Italia soffrono da due anni un rallentamento delle produzioni industriali, e, quindi, per le banche”.
In definitiva, “si rischierebbe una nuova recessione in gran parte del mondo”.
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