L’avvocato che lavora gratis in cambio di pubblicità va punito: la sentenza del CNF

Simone Micocci

21 Giugno 2017 - 10:48

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Consiglio Nazionale Forense: l’avvocato che offre assistenza gratuita per sfruttare la notorietà di un caso commette un illecito disciplinare. Per il CNF è vietato “accaparrarsi un cliente”.

L’avvocato che lavora gratis in cambio di pubblicità va punito: la sentenza del CNF

L’avvocato che si propone per un incarico molto ambito senza farsi pagare, solamente per ricavarne notorietà, commette un illecito disciplinare.

Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n°390 del 2016 pubblicata sul suo sito istituzionale in data 17 giugno 2017.

Che l’avvocato non potesse lavorare gratis, neppure per una causa persa, era già stato chiarito dalla sentenza n°902 del TAR di Milano della quale vi abbiamo parlato lo scorso 17 aprile.

La sentenza del Consiglio Nazionale Forense ci dice qualcosa di più, ovvero che qualora un professionista legale lavori gratis con il solo scopo di “cavalcare” il clamore mediatico di una determinata vicenda, commette un illecito meritevole di essere sanzionato.

Il CNF quindi ha deciso di mettere un freno a quegli avvocati che approfittano del clamore mediatico che circonda una determinata vicenda per aumentare la propria notorietà, a costo di rinunciare alla parcella.

Vediamo nel dettaglio quali sono state le motivazioni alla base di questa sentenza del Consiglio Nazionale Forense.

L’avvocato che offre assistenza legale gratuita commette un illecito

Il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della censura che il Consiglio dell’Ordine ha comminato ad un avvocato colpevole di aver offerto assistenza legale gratuita per un crimine molto noto ai mass-media.

Sono sempre di più i programmi di infotainment che si occupano di casi di cronaca e questo inevitabilmente contribuisce ad aumentare l’interesse mediatico nei confronti di alcune vicende. A quanto pare questo fenomeno ha contribuito a crearne un altro: quello degli avvocati che approfittano dell’attenzione della stampa per farsi pubblicità.

Nel caso di specie, ad esempio, l’avvocato sanzionato dal COA ha contattato i familiari delle vittime di un crimine piuttosto “famoso” proponendo assistenza legale per la costituzione di parte civile precisando che per l’incarico professionale non avrebbe richiesto alcun compenso.

Secondo il COA che gli ha commissionato la sanzione della censura questo comportamento costituisce una violazione dell’allora articolo 19 Codice Deontologico (adesso con la riforma si tratterebbe dell’articolo 37) il quale stabilisce il divieto per l’avvocato di “accaparrarsi” la clientela.

Come conferma della propria tesi, il COA ha fatto riferimento alle frasi utilizzate dal legale nella email inviata alla famiglia delle vittime, dalle quali si evince chiaramente che questo si è offerto di lavorare gratuitamente così da poter sfruttare tutta la popolarità che sarebbe scaturita dalla vicenda.

La difesa dell’avvocato

Per difendersi l’avvocato ha fatto riferimento alla normativa Bersani, ritenendo che dopo la sua approvazione il Codice deontologico - anche se non legittima le forme di pubblicità indiscriminata - permette all’avvocato di informare il cliente sulla propria attività, dal prezzo ai contenuti dell’offerta sui servizi professionali così da dargli tutti gli strumenti necessari per decidere a chi affidare l’incarico.

Ed è in quest’ambito che, secondo il legale, il Codice Deontologico lascia la totale libertà nel calcolo della parcella.

Per il Consiglio Nazionale Forense queste motivazioni non sono sufficienti; infatti, anche se il legale è libero di decidere del proprio compenso non bisogna dimenticare che per la professione forense, vista la funzione sociale che ricopre, ci sono dei limiti che non si possono superare.

Per il CNF, quindi, l’assistenza gratuita va vista come una violazione alla dignità e al decoro della professione.

Anche dopo l’entrata in vigore della normativa Bersani gli avvocati devono continuare a far riferimento all’articolo 37 del nuovo Codice Deontologico, non utilizzando dei mezzi illeciti - e neppure avvalendosi dell’intermediazione di terzi - per acquisire clientela. In caso contrario la sanzione comminata non può essere annullata.

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