Assegno di inclusione e SFL, stessi problemi del Rdc: perché così non funzionerà

Simone Micocci

12 Dicembre 2023 - 15:37

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La politica attiva collegata al Rdc non ha funzionato come si sperava. Ed ecco la riforma Meloni che si pone come soluzione al problema, per quanto rischi di commettere gli stessi errori.

Assegno di inclusione e SFL, stessi problemi del Rdc: perché così non funzionerà

Lo avevamo detto in tempi non sospetti: la cancellazione del Reddito di cittadinanza per passare all’Assegno di inclusione (ADI) e al Supporto formazione lavoro (SFL) sembra essere un’operazione più di facciata, in quanto nella sostanza rischia di cambiare poco o nulla.

Specialmente per la parte di politica attiva, quello che a detta di tutti è stato il vero problema del Reddito di cittadinanza in quanto non si è riusciti a mantenere la promessa di fare uscire il nucleo familiare dalla condizione di povertà trovando un lavoro ai componenti cosiddetti occupabili.

D’altronde, per quanto Giorgia Meloni e il suo governo abbiano la convenienza di dire il contrario, anche il Reddito di cittadinanza era stato costruito come una forma di supporto transitorio, obbligando i percettori che sono nella condizione di poter svolgere un lavoro a prendere parte a un percorso di riattivazione caratterizzato da una serie di condizionalità che se non rispettate potevano portare anche alla perdita del sostegno.

Si potrebbe contestare che almeno inizialmente il sistema sanzionatorio era troppo leggero, ma d’altronde come dichiarato dalla stessa Ministra del Lavoro, Marina Calderone, parlando dei nuovi Assegno di inclusione e Supporto per la formazione e il lavoro, non è detto che una misura debba essere perfetta fin da subito, si può sempre intervenire con dei correttivi.

Quindi, il Reddito di cittadinanza si poteva anche correggere: non necessariamente bisognava procedere con una riforma che rischia di ereditare gli stessi problemi che hanno impedito alla politica attiva di funzionare.

D’altronde le premesse non ci smentiscono: ci sono diverse testimonianze rispetto al fatto che il percorso di politica attiva che porta al riconoscimento del supporto di 350 euro non sta funzionando come si sperava.

Le due più grandi differenze tra Reddito di cittadinanza, ADI e SFL

Come noto, nel cancellare il Reddito di cittadinanza, a partire dall’1 gennaio 2024, il Governo ha introdotto il SFL e l’Assegno di inclusione. In particolare quest’ultimo è molto simile al Rdc, per quanto ci sia un cambio dei requisiti che potrebbe incidere - tanto in maniera positiva quanto negativa - sull’importo percepito.

Le due più grandi differenze tra il prima e il dopo sono invece altre:

  • la nuova piattaforma SIISL che incrocia domanda e offerta, realizzata dall’Inps. In realtà anche qui c’è un cambio perlopiù dell’ente gestore, visto che anche il Reddito di cittadinanza aveva la sua piattaforma: MyAnpal, in mano all’Agenzia nazionale per le politiche attive.
  • l’entrata in gioco delle Agenzie private per il lavoro, le quali avranno il compito di assistere i beneficiari occupabili e indirizzarli nel miglior percorso possibile per la ricerca di un nuovo impiego.

Il tutto a discapito dei servizi pubblici per il lavoro, per i quali non è mai partito il programma di potenziamento che era stato collegato al Reddito di cittadinanza, tanto che la stessa Ministra del Lavoro Calderone ha confermato che si tratta di un servizio che procede “a singhiozzo”, in quanto funziona in alcune Regioni mentre in altre meno.

Quindi, anziché intervenire per potenziare i servizi pubblici per il lavoro, nel rispetto della riforma costituzionale del 2001 che obbliga lo Stato ad assicurarsi che ogni Regione garantisca perlomeno i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), il Governo ha preferito aprire alle agenzie private per il lavoro.

Le stesse che per tutto il periodo in cui è stato in vigore il Reddito di cittadinanza chiedevano di essere prese in maggiore considerazione poiché ritenevano di poter raggiungere risultati migliori rispetto ai centri per l’impiego, e che oggi hanno quindi l’opportunità per dimostrarlo.

Perché a queste condizioni non cambierà nulla

Come già abbiamo avuto modo di spiegare, uno dei problemi più grandi del Reddito di cittadinanza consisteva nella poca collaborazione tra tutte le parti in causa: Anpal, Regioni, come pure le stesse agenzie private che differentemente da quanto sostenuto hanno comunque svolto attività di formazione e intermediazione nei confronti di tanti beneficiari del Reddito di cittadinanza (tramite il cosiddetto strumento dell’Assegno di ricollocazione).

Ognuno ha preferito procedere per la propria strada, facendo spesso leva sugli interessi politici personali e di fatto boicottando quello che era il programma originario. Va infatti detto che, complice anche la pandemia, il programma di politica attiva come disciplinato dalla riforma del Rdc non si è mai concretizzato al 100%, basti pensare che fino all’ultimo momento la maggior parte dei centri per l’impiego non ha preso traccia di eventuali proposte di lavoro presentate ai beneficiari (non potendo così applicare la sanzione prevista in caso di rifiuto).

Il problema della riforma voluta dal Governo Meloni è che sembra ci sia stato semplicemente un cambio di protagonisti: il ruolo centrale non lo hanno più Anpal e Regioni (tramite i centri per l’impiego), bensì Inps e agenzie private.

Ma nel frattempo c’è tutto un contorno che non può essere dimenticato: gli stessi centri per l’impiego, ai quali è stato persino negato l’accesso alla piattaforma SIISL, sono fondamentali in quanto è qui che va convalidato il patto di servizio personalizzato che dà avvio al programma di orientamento e formazione previsto dal Supporto per la formazione e il lavoro.

Quel “fare rete” che dovrebbe essere fondamentale per far funzionare tutto sembra essere ancora una volta dimenticato per continuare a fare spazio a interessi perlopiù individualisti. E a farne le spese sono sempre e comunque i cittadini, molti dei quali ancora oggi - da settembre 2023 - aspettano il pagamento dei primi 350 euro del SFL.

I problemi sono strutturali

Si parla di formazione, ma se ne parlava anche per la politica attiva collegata al Reddito di cittadinanza. E anche in quel caso erano perlopiù i servizi privati a farsene carico, per quanto i dati ci dicano che il risultato non è stato quello sperato.

Perché oggi le cose dovrebbero andare diversamente? Sono bastati pochi mesi per stravolgere l’impianto dei servizi per il lavoro, tanto pubblici quanto privati, rendendoli adeguati a prendere in carico persone che per quanto occupabili sono molto lontane dall’essere appetibili alle aziende? Perché questo è un aspetto che troppe volte si dimentica, ossia il fatto che non necessariamente è il beneficiario del Reddito di cittadinanza a non voler andare a lavorare quanto più le aziende a non essere interessate.

D’altronde si tratta di persone che, dati alla mano, hanno uno scarso livello di scolarizzazione, poca esperienza e zero competenze. Senza dimenticare poi che provengono da contesti sociali difficili, dove prima di procedere con una ricerca di un lavoro bisognerebbe intervenire su tanti altri fattori.

Le agenzie private sapranno ricollocarli? D’altronde non è di certo questo il target sul quale hanno operato in questi ultimi anni. Basteranno corsi di formazione di pochi mesi per far acquisire loro le competenze necessarie per essere considerati non solo occupabili ma anche appetibili? Probabile, ma per adesso non è stato così anche per la scarsa offerta formativa presente sui territori.

Prima di fare voli pindarici promettendo lavoro a coloro a cui verrà tolto il Reddito di cittadinanza, servirebbe innanzitutto un’analisi del contesto che ha portato al fallimento di questa misura, al fine di non ripetere gli stessi errori. Non è stato fatto, o almeno questa è l’impressione che è stata data.

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