Addio soldi, metà dei ricchi britannici vogliono lasciare il Paese. Ecco perché

Luna Luciano

24 Agosto 2025 - 14:17

Oltre la metà dei milionari britannici è pronta a fuggire dal Regno Unito per evitare alla nuova tassa patrimoniale. Ecco cosa sta accadendo e perché dovremmo tassare di più i super ricchi.

Addio soldi, metà dei ricchi britannici vogliono lasciare il Paese. Ecco perché

I ricchi britannici cercano di evitare nuove tassazioni e valutano di lasciare la Gran Bretagna. In un’epoca di crisi economica e in cui l’1% della popolazione detiene i due terzi della ricchezza prodotta dal mondo, sembra che nel Paese di Robin Hood i super ricchi non accettino di pagare in proporzione al loro patrimonio, sfuggendo alle nuove tasse.

Secondo uno studio della società di ricerca Walr, pubblicato dal Times, il 53% dei milionari britannici si dice disposto a trasferirsi all’estero se il governo darà seguito all’introduzione di un’imposta patrimoniale. Una minaccia che non passa inosservata in un momento in cui il deficit di bilancio del Regno Unito tocca i 50 miliardi di sterline e Downing Street sta valutando un’ampia riforma fiscale, con nuove imposte sulle plusvalenze e sulle successioni.

Il sondaggio, condotto su oltre mille individui con patrimoni superiori al milione di sterline, fotografa un Paese spaccato: da un lato i super ricchi pronti a fare le valigie, dall’altro una maggioranza di cittadini che da anni sopporta l’aumento del costo della vita e un sistema di disuguaglianze sempre più marcato. Mentre Stati Uniti, Canada, Australia ed Emirati Arabi Uniti si propongono come mete privilegiate per i nuovi “esuli fiscali”, il dibattito sulla giustizia fiscale torna centrale: chi deve pagare il prezzo delle crisi economiche, sociali ed ambientali?

Gran Bretagna, i super ricchi fuggono dalla nuova tassa patrimoniale

La prospettiva di una tassa patrimoniale ha agitato i ceti più abbienti della Gran Bretagna. Il 53% dei milionari britannici, persone con patrimoni superiori a un milione di sterline, ha dichiarato di valutare seriamente il trasferimento all’estero. Non si tratta di un fenomeno marginale: oltre 600 individui tra i più facoltosi del Paese potrebbero decidere di portare altrove capitali, aziende e investimenti.

Il contesto è reso ancora più complesso dalla decisione del governo di abolire, lo scorso aprile, il regime fiscale speciale per i non residenti. Questo sistema, noto come non-dom status, permetteva a molti stranieri benestanti di proteggere i redditi maturati all’estero dalla tassazione britannica. La sua abolizione ha reso Londra meno attrattiva rispetto ad altre piazze finanziarie globali.

Le mete preferite per la fuga dei ricchi? Stati Uniti, Canada, Australia ed Emirati Arabi Uniti, Paesi che offrono vantaggi fiscali più favorevoli e, in molti casi, un costo della vita più competitivo rispetto alla capitale britannica. Circa il 60% degli intervistati ritiene infatti che la propria vita potrebbe migliorare lontano dal Regno Unito.

Eppure, nonostante la minaccia di “fuga dei capitali”, due terzi degli intervistati continuano a considerare la Gran Bretagna un luogo attrattivo per investire. Una contraddizione che riflette la natura ambivalente di Londra: da un lato centro finanziario globale, dall’altro Paese in cerca di risorse per sostenere la spesa pubblica in tempi di inflazione, crisi energetica e disuguaglianze crescenti.

Serve una nuova tassa per super ricchi?

Il dibattito sull’imposta patrimoniale tocca un nervo scoperto: la giustizia fiscale. Non tutti i milionari fuggono, e anzi, alcuni tra loro hanno dichiarato di essere pronti a pagare più tasse pur di ridistribuire le ricchezze. Esistono movimenti internazionali, come Tax the Rich, che chiedono con forza un contributo maggiore da parte di chi possiede patrimoni immensi.

Il senatore statunitense Bernie Sanders è uno dei volti più noti di questa battaglia. Da anni sostiene che i miliardari non solo dovrebbero essere tassati di più, ma che la loro stessa esistenza sia un’anomalia in un mondo in cui la povertà estrema aumenta e i salari reali vengono erosi dalle crisi economiche e ambientali. Nel 2021, l’1% dei più ricchi si è appropriato di quasi due terzi della ricchezza prodotta a livello globale: un dato che lascia poco spazio a interpretazioni.

Il problema è che i super ricchi possono contare su consulenti, trust e complessi accordi fiscali che permettono loro di ridurre le aliquote al minimo indispensabile. Le famiglie comuni o le piccole e medie imprese, al contrario, non hanno strumenti simili e si trovano a sopportare un carico fiscale proporzionalmente più pesante.

Da qui nasce la domanda cruciale: chi deve finanziare la transizione ecologica, i servizi pubblici e la lotta alle disuguaglianze? Sempre più economisti, politici e organizzazioni internazionali convergono su una risposta: i super ricchi devono fare la loro parte. Non per punizione, ma per responsabilità.

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