Il Ministro Salvini vuole abolire il valore legale dei titoli di studio per premiare gli atenei più virtuosi ed ottiene il consenso del M5S. I pro e i contro della proposta.
La proposta del Ministro Salvini di abolire il valore legale dei titoli di studio, di ogni ordine e grado, ha riaperto l’antico dibattito sulla convenienza o meno del valore legale dei titoli, sollevata in passato da diversi governi e mai risolta.
Attualmente il valore legale conferisce ai titoli di studio ufficialità e validità su tutto il territorio della Repubblica italiana, con l’equiparazione dei titoli da Nord a Sud.
La proposta di Salvini, appoggiata anche dal M5S, vuole abolire il valore legale dei titoli ritenendo che questo sia utile ad aumentare la competitività tra gli atenei e premiare quelli più efficienti.
Per alcuni però l’abolizione del valore legale non solo rischia di aumentare il divario tra Nord e Sud ma andrebbe a far aumentare in maniera esponenziale le tasse degli atenei più virtuosi, in contrasto con l’articolo 34 della Costituzione italiana che sancisce il diritto allo studio.
Per meglio comprendere gli effetti di una tale riforma, andiamo ad analizzare i pro e i contro dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio.
Che significa valore legale dei titoli di studio
Il titolo di studio è un certificato che attesta l’insieme delle conoscenze e delle competenze apprese durante il corso di studi, garantendo la qualità e il rispetto degli standard previsti dallo Stato per l’erogazione dell’istruzione pubblica.
Alla base del concetto di valore legale del titolo di studio ci sono due presupposti:
- l’introduzione di un determinato titolo di studio da parte dell’autorità pubblica nel proprio sistema di istruzione e formazione;
- la produzione di specifiche situazioni giuridiche soggettive in capo a chi ottiene il titolo di studio.
Il principio del valore legale dei titoli di studio venne sancito nel Testo unico delle leggi dell’istruzione superiore del 1933 e confermato dal Regolamento studenti nel 1938 nel quale si prevede che i diplomi e le lauree conferiti dalle Università devono contenere la dicitura “Repubblica italiana” e “in nome della legge italiana”, per sottolineare che ogni titolo ha la stesso riconoscimento, a prescindere dal luogo in cui sia stato ottenuto.
Infatti il valore legale dei titoli di studio si fonda sul principio che l’ordinamento didattico ha valore nazionale: è lo Stato a fissare le caratteristiche generali dei corsi di studio e dei titoli rilasciati e a certificare il possesso delle competenze e conoscenze acquisite. Ma le cose potrebbero cambiare se la proposta di Salvini diventasse legge.
Il dibattito sull’eliminazione del valore legale dei titoli vede due schieramenti contrapposti: quelli che ne vorrebbero l’eliminazione per aumentare la competitività tra gli atenei e la qualità dell’istruzione, e quelli che vogliono mantenere il valore legale dei titoli, unico mezzo per garantire la parità di trattamento e il Diritto allo studio.
Perché “si”
I sostenitori della proposta ritengono che abolire il valore legale dei titoli di studio sia utile ad accrescere la competitività tra le università, migliorare la qualità dell’istruzione ed eliminare gli sprechi e le inefficienze.
In questo modo ogni titolo di studio avrebbe un valore differente (quello che il mercato del lavoro gli attribuisce) e ciascuna università sarebbe obbligata a selezionare i docenti migliori, a garantire una formazione qualitativamente più elevata, ad offrire servizi più efficienti.
In più secondo i promotori della riforma, lo Stato dovrebbe stilare una graduatoria delle università migliori in modo che l’ateneo di provenienza abbia maggiore importanza rispetto al voto di laurea.
Perché “no”
Per chi è contrario alla proposta di Salvini, l’abolizione del valore legale del titolo di studio non garantisce la maggiore qualità dei processi formativi, al contrario crea laureati di “serie A” con disponibilità economiche tali da poter accedere agli atenei più prestigiosi, e laureati di di “serie B” con un reddito inferiore che devono ripiegare su atenei meno efficienti; ad essere danneggiati sarebbero soprattutto gli studenti del Sud Italia dove il reddito procapite è più basso.
I sostenitori del no dicono anche che abolire il valore legale dei titoli di studio aprirebbe ad una maggiore discrezionalità all’interno delle procedure concorsuali: in assenza della parificazione dei titoli vigerebbe la discrezionalità a scapito della meritocrazia e a favore di chi ha più conoscenze e amicizie nel settore.
Per venirne a capo non ci resta che rimanere aggiornati sugli svolgimenti del dibattito.
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