L’Ue cala le braghe con Orban per varare le sanzioni più inutili e dannose di sempre

Mauro Bottarelli

02/06/2022

03/06/2022 - 17:32

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Esentato il patriarca Kirill dal sesto pacchetto, Bruxelles ignora come Mosca stia già vendendo petrolio all’India con tankers cinesi. E la fuga dai fondi ESG ora crea calca all’uscita di sicurezza

L’Ue cala le braghe con Orban per varare le sanzioni più inutili e dannose di sempre

Di per sé, il quadro non appariva già dei più edificanti. Pur di far passare il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, infatti, l’Ue dopo solo 24 ore ha calato le braghe di fronte al veto dell’Ungheria ed esentato da nuove restrizioni il patriarca ortodosso Kirill, finito nel mirino per la sua totale adesione al progetto politico putiniano.

Una figura barbina. Ma ritenuta il male minore rispetto alla sospensione totale del varo di provvedimenti che Bruxelles intende vendere alle opinioni pubbliche come il varco del Rubicone definitivo, lo strappo energetico verso Mosca. Non importa che il bando sul petrolio russo sia limitato a quello che giunge via mare e non via pipeline e che, comunque, fino al 2023 Mosca potrà contare su un robusto surplus grazie alle vendite verso chiunque. L’importante, apparentemente, è che la parola petrolio figuri nel documento. Insieme, quantomeno per l’Italia, alla chimera del cap sul prezzo del gas, talmente improbabile da essere stato immediatamente derubricato a materia di cui si occuperà la Commissione. Tradotto, ultimo dei fascicoli in agenda.

Ma c’è di peggio dell’ipocrisia insita in questa pantomima. E ce lo mostra in prima battuta questa mappa,

Mappa delle pipeline di trasporto del petrolio russo verso Ovest e verso Est Mappa delle pipeline di trasporto del petrolio russo verso Ovest e verso Est Fonte: Stratfor

la quale tratteggia quale sia attualmente il rapporto di forza e l’equilibrio costi-benefici insito nella scelta europea: praticamente, un suicidio. Oltretutto, a fronte di un beneficio nullo persino a livello politico. I flussi di greggio degli Urali che l’Europa non acquisterà più, formalmente a partire dal prossimo anno, sono già in rampa di re-indirizzamento verso l’Asia. E la Cina ha detto chiaramente come sia sua intenzione acquistare il greggio a sconto degli Urali per riempire le proprie riserve strategiche. E la questione si fa ancora paradossalmente più seria, quando si parla con operatori russi del settore, di fatto i primi a dover essere formalmente preoccupati di quanto stia accedendo in sede Ue. A loro dire, invece, Mosca al momento non sta nemmeno spingendo sull’acceleratore operativo di quel potenziale re-routing dei flussi verso Est.

Il motivo? Al netto dei proclami, l’Europa necessiterà almeno di due anni prima di poter concretamente basare le proprie necessità su fonti alternative a quelle di Mosca. Ne è convinto il centro studi della moscovita BCS Global Markets, a detta del quale la Russia ha tutto il tempo necessario per prepararsi a questa transizione verso nuovi clienti. Ci aspettiamo infatti che i flussi di greggio russo continuino a fluire verso l’Ue, sia in maniera ufficiale che tramite grey schemes, almeno per un anno intero. O forse addirittura due. In compenso, il contraccolpo politico delle sanzioni nei confronti dei rapporti con Mosca sarà immediato. E questo alla luce anche di un’altra evidenza. Nel giorno in cui l’Opec+ ha annunciato l’aumento della produzione per i mesi estivi, ottenendo il plauso degli Usa per la lungimiranza della guida saudita, giova infatti ricordare come Mosca e Ryad stiano ormai operando in tandem per gestire le dinamiche di mercato, come confermato dal recente incontro fra Serghei Lavrov e il suo omologo nel Regno, Faisal bin Farhan Al Saud.

Infine, le ultime due criticità. Praticamente, i proverbiali chiodi nella bara del suicidio politico-energetico appena varato dall’Ue, oltretutto al prezzo di un’umiliante resa alle richieste della piccola (e filo-russa) Ungheria. Questo grafico

Barili di petrolio russo in arrivo giornaliero ai porti indiani di Jamnagar e Sikka Barili di petrolio russo in arrivo giornaliero ai porti indiani di Jamnagar e Sikka Fonte: Centre for Research on Energy and Clean Air

mostra infatti quale sia stato il volume di petrolio russo giunto nel mese di maggio nei porti indiani. E i dato dell’IEA e di Kpler parlano chiaro: dall’inizio della guerra, New Delhi ha visto il suo import di greggio russo passare da 30.000 a 800.000 barili al giorno. Praticamente, Mosca aveva già creato un nuovo hub per il suo petrolio, prima ancora che l’Ue varasse le sanzioni al riguardo. E chi pensasse che il divieto di assicurare tankers russi da parte dei Lloyd’s contenuto nel pacchetto di sanzioni possa intaccare questo nuovo collegamento commerciale, giova sottolineare come i trasferimenti avvengano attraverso mega-tankers cinesi come la Lauren II, capace di trasportare quasi 2 milioni di barili. Pechino, si sa, non ha grosse difficoltà ad assicurarsi da sola.

Ed ecco che questo ultimo grafico

Andamento dei flussi di capitale in entrata e uscita da fondi ESG Andamento dei flussi di capitale in entrata e uscita da fondi ESG Fonte: Bloomberg

segna il punto di svolta, quantomeno potenziale. A fronte del risiko energetico in atto, i fondi ESG hanno appena patito il loro primo (e pesante) outflow di capitali, quasi una messa in guardia rispetto alla fine della pacchia. Perché se le recenti perquisizioni delle autorità Usa e Ue verso istituzioni finanziarie ritenute in odore di greenwashing (l’ultima, Deutsche Bank) stanno mettendo fretta ai troppi soggetti con coda di paglia del comparto, ovviamente il ruolo centrale che le fonti fossili - come petrolio e gas - stanno assumendo nei contorni geopolitici globali della vicenda ucraina non appare certamente un incentivo a seguire i consigli di investimento di Greta Thunberg. E attenzione: se Russia, Cina e India davvero legheranno le commodities alle valute nel tentativo di azzoppare il ruolo benchmark del dollaro, quell’outflow rischierà di essere ricordato come la proverbiale palla di neve che rotolando a valle diviene valanga. E già oggi, si mormora, la calca davanti all’uscita di sicurezza dal business del trentennio sta aumentando rapidamente. Auguri povera Europa, ne hai bisogno. Anzi, ne abbiamo bisogno.

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