Trump e la battaglia protezionista sull’acciaio: mossa legittima o clamoroso autogol?

Alessandro Cipolla

10 Luglio 2017 - 12:47

Dopo l’apertura ottenuta nel documento sul commercio del G20, Trump pensa sempre a dei dazi per difendere l’acciaio americano, mossa che però potrebbe essere un boomerang.

Trump e la battaglia protezionista sull’acciaio: mossa legittima o clamoroso autogol?

Donald Trump e i possibili dazi sull’importazione dell’acciaio: dopo aver strappato un’apertura nel documento economico ufficiale firmato al G20 di Amburgo, il Presidente degli Stati Uniti sembrerebbe essere sempre più convinto di proseguire nella sua linea protezionista.

Dopo il carbone Trump vuole lanciare la propria offensiva nei riguardi degli altri grandi della terra anche sull’acciaio, sulle cui importazioni negli states presto potrebbero essere applicati dei dazi.

Nell’accordo ratificato ad Amburgo infatti si parla di possibili “misure difensive” che i vari stati possono decidere di applicare. Una sorta di vittoria questa per il tycoon che così può sentirsi libero di proseguire verso la sua campagna di difesa del proprio mercato nazionale.

Ottenuta questo possibile via libera dal G20, rimangono però i dubbi sulla reale efficacia che eventuali dazi decisi da Trump sull’importazione dell’acciaio potrebbero apportare nel complesso all’economia americana.

Donald Trump e la battaglia sull’acciaio

Anche se gli occhi del mondo si sono soffermati soprattutto sul primo incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin, sono stati molti altri gli argomenti sul tavolo del G20 di Amburgo che si è appena concluso.

Particolare attenzione è stata data al documento finale sul commercio, dove alla fine la padrona di casa Angela Merkel ha preferito non andare allo scontro frontale con gli Stati Uniti, accontentando Trump sulla possibilità di applicare misure difensive relative all’importazione di prodotti e materie.

La Merkel quindi, sulla scia di quanto accaduto al G7 di Taormina per quanto riguarda il clima, ha preferito non isolare totalmente il Presidente americano cedendo in parte alle sue richieste per mantenere comunque così vivo il dialogo e non andare al muro contro muro.

Donald Trump così può continuare la sua battaglia protezionista, che è stata uno dei principali cavalli di battaglia della sua vittoriosa campagna elettorale. Per contrastare la crisi del settore e la perdita dei posti di lavoro, il tycoon ha spesso parlato di misure per difendere le imprese americane operanti nel settore dell’acciaio e del carbone.

Così ecco nei mesi scorsi la decisione presa da parte degli Stati Uniti di uscire dai trattati sul clima di Parigi, per poter in questa maniera liberare l’industria a stelle e strisce del carbone dai vincoli imposti dall’accordo.

Quanto all’acciaio, l’idea è quella di istituire dei dazi per fronteggiare l’importazione dall’estero. Il motivo ufficiale sarebbe quello che lo standard di sicurezza del materiale proveniente da altri paesi non sarebbe in maniera sufficiente elevato.

La verità però potrebbe essere che Trump stia cercando soltanto di mantenere fede alle tante promesse elettorali fatte, cercando con una svolta protezionista di rilanciare l’industria dell’acciaio americana.

Mentre l’Europa firma un accordo per il libero mercato con il Giappone, la politica economica americana dettata dal nuovo Presidente va in una direzione totalmente opposta. Scelta particolare questa per il paese che ha fatto del liberismo da sempre la propria bandiera, che potrebbe inoltre portare alla nazione risultati tutt’altro che positivi.

I rischi dei dazi sull’acciaio

Dopo un periodo di grande crescita, a partire dal 2014 l’industria dell’acciaio è in crisi non soltanto negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. Tranne che per il Vietnam, tutti gli altri maggiori esportatori hanno visto scendere il loro volume d’affari mediamente del 20%.

Oltre ad averlo più volte paventato durante la campagna elettorale, Donald Trump lo scorso aprile ha parlato di possibili dazi sull’import dell’acciaio, facendo volare in Borsa le aziende americane del settore. Nonostante i rialzi però, l’indice dall’inizio dell’anno fa segnare un ribasso generale stimabile attorno al 10%.

Il documento sul commercio firmato ad Amburgo quindi potrebbe dare il via libera agli Stati Uniti, anche se ancora bisogna ben capire quali potrebbero essere i limiti di queste misure difensive concesse, visto che il foro istituito anni fa a riguardo non ha ancora partorito nessuna linea guida ufficiale.

Nel 2016 gli Stati Uniti hanno importato 30 milioni di tonnellate di acciaio, 5 milioni in meno rispetto al 2015, soprattutto da Canada, Brasile, Germania, Giappone, Corea del Sud e Messico. La Cina quindi, verso la quale è stato puntato in particolare il dito, non è tra i maggiori esportatori verso l’America.

Se dovessero essere applicati dei dazi sull’importazione dell’acciaio, si parla anche di tariffe intorno al 20%, per gli Usa questa decisione potrebbe essere nel complesso controproducente soprattutto riguardo i salari.

Il rapporto annuale della Banca dei Regolamenti Internazionali, ha ipotizzato che se gli Stati Uniti decidessero di mettere dei dazi del 10% sull’importazione dell’acciaio, l’industria stelle e strisce dell’auto vedrebbe aumentare i propri costi di produzione dello 0,86%.

Tutto questo quindi di conseguenza si andrebbe a riversare sui salari, che nel caso potrebbero subire un taglio del 6%. In settori invece come la meccanica e la chimica la diminuzione delle buste paga sarebbe tra il 2% e il 4%.

In pratica quindi, visto che il commercio internazionale si basa per la maggior parte su prodotti intermedi, i dazi andrebbero ad aumentare i costi in vari settori con le industrie che quindi, per contenere l’inalzamento delle spese, andrebbero a diminuire i salari dei loro lavoratori.

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