Tagli a Ricerca e Università, ma aumentano i fondi per le private con la Legge di Bilancio 2021

Erasmo Venosi

1 Dicembre 2020 - 12:56

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Un trasferimento alle Università private che appare discriminatorio rispetto alle Università pubbliche e l’incredibile passaggio della ricerca nelle mani di Invitalia, ovvero del factotum nazionale, il noto dott. Arcuri.

Tagli a Ricerca e Università, ma aumentano i fondi per le private con la Legge di Bilancio 2021

Legge di bilancio 2021, articoli 89, 90 e 93. Sono 30 i milioni di euro trasferiti al fondo integrativo per Università e scuole superiori non statali. Rilevante l’incremento percentuale: +44%. Se si utilizzasse un po’ meno della metà di questa percentuale per finanziare il FFO delle Università si potrebbero abolire le tasse universitarie come avviene in gran parte dei paesi europei. Complessivamente i trasferimenti alle Università private ammontano a 84 milioni. 54 milioni servono a finanziare le pensioni dei professori che insegnano nelle Università private (art. 93).

L’altra novità la si legge nell’art. 90. La ricerca italiana nelle mani di Invitalia con il Programma Nazionale della Ricerca (PNR), il Programma di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) e dei progetti finanziati dall’Europa. Sembra che la denuncia fatta con il Libro Bianco “La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura” elaborato da esperti e presentato all’Accademia dei Lincei abbia smosso ben poco.

La diminuzione del 20% degli investimenti pubblici in R&S (ricerca e sviluppo) e il taglio del 14% della spesa pubblica per l’università ci ha collocati in una zona ad elevato rischio. Nel libro si elabora un’ipotesi che meriterebbe di essere approfondita. Non è l’incapacità del Paese a modificare la sua specializzazione produttiva che da tre decenni conduce a bassa crescita e divergenza crescente con le altre economie europee?

Nell’economia della conoscenza integrata e globalizzata l’uso di tecnologie basse porta alla marginalità. Nel bel mezzo della crisi la Germania ha aumentato gli investimenti in Ricerca & Sviluppo e i trasferimenti alle Università. Noi abbiamo tagliato fondi alla ricerca e all’Università. Sembra proprio che questa centralizzazione della Ricerca porti i governi a enfatizzare la ricerca applicata e l’innovazione tralasciando il motore della ricerca che è la ricerca di base. Eppure cambiano i governi, ma la musica è quasi la stessa.

I dati sono drammatici. Dal 2010 e quest’anno hanno abbandonato l’Italia 30.000 giovani ricercatori che sono stati formati con le tasse degli italiani. L’ultimo rapporto della Commissione Ue ci dice che gli investimenti in ricerca e sviluppo in Italia sono diminuiti del 20% negli ultimi dieci anni. Il 45% dei progetti vinti da italiani sarà finanziato all’estero e non in Italia. Il numero dei ricercatori nel nostro Paese è due volte e mezzo inferiore a quello di Regno Unito, Germania, Francia e addirittura 5 volte inferiore a quelli del Giappone. Evidente che il dato è normalizzato rispetto agli abitanti.

PRN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale) e FIRB (Fondo di Incentivazione alla Ricerca di Base) sono gli strumenti attraverso i quali si finanzia la ricerca pubblica in Italia. È sufficiente un semplice paragone con il finanziamento erogato dall’Agenzia per la Ricerca pubblica in Francia. Il finanziamento annuo è di 500 milioni di euro. I soggetti preposti alla valutazione dei progetti sono 10.000 e a decidere quali progetti finanziare è un comitato di 500 componenti. Ogni anno sono presentati 6.000 progetti e in media è idoneo uno su cinque. Il finanziamento annuo del PRIN è di 30 milioni, i progetti presentati sono 4.500 e circa 300 sono valutati da 3.500 soggetti e 3 funzionari del MIUR. La scelta dei progetti è fatta da 50 persone. Il budget del FIRB è di 20 milioni all’anno.

Un dato va però evidenziato. Il numero delle pubblicazioni scientifiche è di circa 100.000 l’anno. Rapportate al numero di abitanti sono pari a 17 ogni 10.000. Appare totalmente ignorata anche l’idea che un fisico che lavora al CERN di Ginevra, Ugo Amaldi, ha illustrato nel saggio “Pandemia e resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19”. Amaldi è figlio del grande Edoardo, collaboratore di Enrico Fermi. L’idea esposta è di portare l’Italia nell’economia della conoscenza.

In che modo? Elevando gli investimenti pubblici in R&S dall’attuale 0,5% del PIL all’1,1% in sei anni. Dai 9 miliardi attuali a 18 miliardi del 2026. Approfittiamo del Recovery Fund e affrontiamo la crisi del coronavirus. Adesso o mai più.

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